L'AGNELLO PASQUALE

 

Il 9 aprile dell'anno 1622 venne battezzato Domenico figlio di Battista di Giulio Ricciotti. Accanto all'atto troviamo una nota interessante: “agn[ello]”.

 

Adi 9 aprile 1622

“Dom.co figli[ol]o di Batt[ist]a di Giulio e di D[onna] francesca sua leg[itti]ma cons[or]te è stato battezzato dal D[etto]. D[on]. Jac[om]o Girone in mia assenza. L'hanno tenuto al sacro fonte franc[cesc]o Girondini e D[onna] Maddalena di Lutio molinaro. Sabbato”.

E' una testimonianza, non isolata, in quanto i libri parrocchiali di Falconara la registrano dal 1611 al 1658, di un'antica usanza legata al rinnovamento del fonte battesimale, in occasione della Pasqua quando veniva benedetto e veniva rinnovata l'acqua battesimale. In questa ricorrenza i genitori del primo bambino battezzato dopo Pasqua erano soliti offrire un agnello al sacerdote.

Nell'anno 1626 la Pasqua cadeva il 27 marzo e il battesimo di Domenico fu appunto il primo dopo la Pasqua. Qui l'annotazione è abbreviata e sintetica; in un caso analogo, riferito al 22 aprile 1624, è invece più ampia e rivelatrice:”agnello rinovò il battesimo”.

Si trattava di una consuetudine largamente diffusa in Italia, che aveva provocato spesso proteste e talvolta il rifiuto da parte dei genitori di pagare questa specie di pedaggio al parroco, tanto che diversi Sinodi Diocesani - Sinodi di Perugia (1564), Osimo (1566), Rimini (1596), Urbino (1713), Parenzo (1733) Capodistria (1799) - finirono per proibirla 1.

Dopo il 1658 l'annotazione non si ritrova più, a testimonianza di come l’usanza sia stata abbandonata. Non è l’unica che nel corso del tempo decade. Accanto ad essa si può ricordare anche quella della coppa di grano che veniva offerta alla chiesa quando moriva un capo di famiglia di “quelli che posseggono o fanno lavorecci”. Si tratta di un uso antico che, come risulta dalla nota trascritta nel libro dei morti dal Pievano dell’epoca don Michele Polizio, venne sancito nel 1615 dal Card. Carlo Conti, Vescovo di Ancona, in occasione della sua visita alla Vicaria di Falconara.

Ne parla diffusamente don Gian Domenico Frampoli negli Inventari della Vicaria di Falconara dell’anno 1770 in cui sono registrati i beni e le entrate della Parrocchia di S. Maria delle Grazie e vengono descritti minutamente gli obblighi dei fedeli nei confronti della parrocchia e le diverse tipologie di “offerte” a cui erano tenuti.

Dagli inizi del Seicento, nota il pievano, nel margine del libro in cui si registrano i morti appare la notazione “coppa di grano” quando viene trascritta la morte di un “capo di casa”, a cominciare dalla morte di Antonio Maria Moscatello, risalente al 1° febbraio 1605, fino alla morte del curato che l’aveva preceduto, perché a lui da che è venuto in possesso della parrocchia, ossia dall’8 maggio 1769, “non ha pagato alcuno […] quand’anche ne siano de capi de casa morti taluni, come Giuseppe Ricciotto e Domenico Grilli colono del S. Marchese Trionfi alle Poiolle”.

Ma l’offerta dell’agnello per il primo battesimo dopo la Pasqua e quella della coppa di grano in occasione della morte del capofamiglia non erano le uniche a cui erano tenuti i parrocchiani. Ne esistevano molte altre legate ai riti che scandiscono la vita terrena dei fedeli e che don Frampoli elenca minutamente nel paragrafo Degli incerti e Consuetudini, il XIX dell’Inventario.

Così per il battesimo i genitori, non portando la candela o il fazzoletto forniti dalla chiesa, devono pagare un paolo. Per il matrimonio poi gli sposi devono dare al Parroco un paolo per la Fede del mutuo consenso, un giulio per la Fede delle proclamazioni fatte e un altro paolo, dopo la cerimonia, per il registro nel Libro de Matrimoni. Per i morti l’offerta è diversificata.

Quando muore un fanciullo prima dell’uso della ragione i parenti del defunto non portano cera per l’accompagnamento del cadavere, ma la fornisce il Pievano al quale i genitori devono corrispondere un onorario di cinque paoli e mezzo, anche se - osserva don Frampoli - non sempre avviene perché spesso sono dei miserabili oppure stentano e bisogna procedere alla tumulazione per carità. Così ”pochi, pochissimi sono quelli che pagano”.

Quando muore un adulto invece la cerimonia funebre coinvolge anche le Compagnie del Rosario e del SS. Sacramento e i parenti sono tenuti a fornire per l’accompagno del cadavere quattro lumi di non meno di mezza libbra ciascuno e per le esequie dodici candele di un’oncia l’una da porre sull’altar maggiore e su quelli laterali. Solitamente però al posto della cera offrono tanto al Curato quanto al Cappellano delle Compagnie diciassette bajocchi e mezzo per ciascuno. Le Compagnie, poi, per l’accompagnamento del defunto alla sepoltura con la loro croce e il loro stendardo ricevono un tovaglione oppure quindici baiocchi e il parroco, per l’accompagno e per la registrazione nel libro dei morti, una candela di mezza libbra ed un paolo.

Tenendo conto dell’importo delle singole offerte, del numero degli abitanti la Pieve e degli eventi ad essi collegati (battesimo, matrimoni e morti) Don Frampoli può alla fine indicare in uno specchio riassuntivo le risorse annuali provenienti dalle offerte dei fedeli:

Per decime a grano sì lavorecci che braccianti............................. scudi 50

Per decime a mosto di lavorecci e braccianti ed altro....................scudi 32 e baiocchi 25

Per decime di ortolani e nolanti....................................................scudi 36 e baiocchi 77 ½

Per incerti e consuetudini............................................................scudi 35 e baiocchi 15

Alle entrate precedentemente descritte si devono aggiungere infine quelle provenienti dalla celebrazione delle messe per le anime del Purgatorio, venti baiocchi per le messe basse e trenta per quelle cantate, e dalla cassetta delle offerte che veniva battuta mentre si celebra la messa.

Questo era l’insieme degli obblighi dei fedeli registrati nel 1770. Va aggiunto che la consuetudine dell’offerta dell’agnello di cui si perdono le tracce dopo il 1658 riaffiora nella prima metà dell’Ottocento e torna ad essere registrata nei libri dei morti.

A titolo puramente esemplificativo, portiamo due testimonianze. La prima è legata ad un atto battesimale della parrocchia di S. Maria delle Grazie dell'11 aprile 1822 in cui, a fianco della registrazione del battesimo, troviamo la formula: “Solvit agnum pro Fontis renovatione”.

La prima è legata ad un atto battesimale della parrocchia di S. Maria delle Grazie dell'11 aprile 1822, in cui a fianco della registrazione del battesimo, troviamo la formula: “Solvit agnum pro Fontis renovatione”.

 



La seconda riguarda un atto battesimale della parrocchia di S. Lorenzo Martire di Fiumesino, sempre nel territorio di Falconara, dell'8 aprile 1849, di fianco al quale si trova la nota: “Pagò l'agnello”.



1 V. BO, La religione sommersa , Milano, Rizzoli 1976, p. 63; G.M. Viscardi, Tra Europa ed Indie di quaggiù. Chiesa,religiosità e cultura popolare nel Mezzogiorno:Secoli 15°-19° , Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2005, p. 174.