Il commercio
Per almeno settanta anni, dagli anni venti alla fine degli anni ottanta del Novecento, la famiglia Ricciotti esercitò a Pianello di Ostra un'attività, quella del commercio dei semi da prato, un tempo florida e praticata da numerose ditte ed oggi quasi scomparsa.
Era un mestiere strettamente collegato al sistema di coltivazione dei campi tipico della nostra regione. La mezzadria infatti prevedeva la presenza nelle case rurali di una stalla, in cui venivano allevate vacche e buoi, destinati alla macellazione, ma utilizzati fino alla metà del Novecento anche per i lavori agricoli, per trainare l'aratro e il biroccio. Una parte del fondo veniva perciò destinata, vuoi per la rotazione, ma soprattutto per l‘alimentazione del bestiame, alla coltivazione delle piante foraggere. Ne consegue, ovviamente – e se ne riparlerà più avanti - che con il tramonto della mezzadria e le successive trasformazioni in campo agricolo, anche il commercio dei semi da prato finisca per ridursi fin quasi a sparire.
Si trattava di un lavoro stagionale, legato al raccolto e alla sua successiva vendita da parte dei contadini 1, e si sviluppava soprattutto fra l'autunno e la primavera. Così, ad integrare i tempi morti e ad ampliare le possibilità commerciali, a questa si aggiungevano nelle licenze altre voci, legate comunque direttamente o indirettamente ai lavori dei campi.
La professione rientrava fra quelle ambulanti, ma va subito chiarito che il termine va inteso in senso lato. Nel nostro caso infatti non si tratta del solito operatore che vende i prodotti di casa in casa o nei mercati cittadini settimanali, ma di un commerciante che aveva una sede fissa e stabile e che si spostava solo per procedere agli acquisti e alla consegna della merce 2.
L'attività prevalente riguardava i semi da prato, detti anche “sementine/somentine” o “semini”, ossia l'erba medica o spagna, il trifoglio (nelle sue varietà violetto o pesarese, alessandrino, squarroso), la sulla, la lupinella o crocetta fra i principali , e consisteva nel frequentare i mercati settimanali, che si tenevano e si tengono ancor oggi nei vari comuni, per entrare in contatto con i contadini, prendere appuntamento per visionare i semi raccolti o per consegnare loro quelli selezionati. Nei giorni successivi il commerciante passava nelle case sparse per la campagna e procedeva, sempre che si arrivasse ad un accordo, all'acquisto dei semi. A questo punto una piccola parte, quella che presentava le caratteristiche migliori, veniva destinata alla selezione, per essere poi rivenduta per la semina. La parte più consistente veniva invece collocata sui mercati più ampi di Ancona, il martedì di ogni settimana nella locale Loggia dei Mercanti, o di Bologna, il venerdì nella Sala Borsa. Si può quindi affermare che il commerciante di semi costituiva l'anello di congiunzione fra i produttori, mezzadri per lo più, e i grandi mercanti che operavano a livello regionale o addirittura nazionale.
Era una vera e propria arte che richiedeva non solo colpo d'occhio per valutarne la qualità e quindi il prezzo di mercato, che oscillava a seconda della purezza e delle caratteristiche del prodotto 3, ma anche la capacità di mescolare sapientemente le singole partite acquistate, a volte magari di pochi quintali e non sempre omogenee, per ricavarne una che non compromettesse troppo le caratteristiche positive delle migliori e permettesse di valorizzare quelle meno pregiate. L'operazione in gergo veniva chiamata “fare il monte” e consisteva nel rovesciare il contenuto dei singoli sacchi sul pavimento del magazzino fino a formare un cumulo che veniva poi spostato da due operai a colpi di pala, creandone un altro parallelo al primo. Veniva compiuta per due o tre volte, fino a che i semi non fossero stati perfettamente mescolati. A quel punto venivano di nuovo insaccati, con una pala speciale, più grande e dai bordi rialzati, detta “palone”, e pesati in sacchi da 100 chili ed erano pronti per il mercato. Per questo con un'apposita “sonda” si prendeva un campione che poi veniva utilizzato per la vendita ai grossisti. Il cerchio per così dire si chiudeva, in quanto con lo stesso sistema, prendendo una piccola quantità di seme da ogni sacco e mescolandola, il commerciante si rendeva conto della qualità della partita di merce quando l'acquistava dai contadini.
Fino agli anni settanta del Novecento era un lavoro pesante, che comportava il trasporto e lo spostamento di sacchi di sementi, mediamente di un quintale, a volte più, che dovevano essere caricati sui mezzi di trasporto, vuotati per permettere la miscelazione dei semi, riempiti di nuovo e quindi accatastati in duplice fila, l'uno sopra l'altro, nei magazzini. Poi verranno, a ridurre la fatica, i carrelli elevatori, i miscelatori, i bancali, i muletti.
All'attività di commercio si univa quella di selezione, attuata con appositi macchinari che permettevano di eliminare le impurità, come la pula e la polvere di terra, e i semi delle erbe infestanti, quali, la cuscuta , detta localmente lambia,il loietto, il romice o rapacciolo, la plantago detta volgarmente “recchie di lepre”. Anche qui l'abilità personale, affinata dall'esperienza e dalla conoscenza dei mezzi di lavorazione, era fondamentale per ottenere un buon risultato, ossia il prodotto selezionato, senza produrre troppo scarto e ridurre quindi i margini di guadagno. Pure gli scarti comunque avevano un loro mercato. Sia pur a prezzi molto bassi venivano venduti a fine stagione ed erano destinati a trasformarsi in mangimi per l'alimentazione del bestiame 4.
Una volta ottenuto il prodotto selezionato, prima di metterlo in commercio, si procedeva ad un'analisi domestica dello stesso, esaminandone attentamente un campione seme per seme, o si provvedeva, se si voleva averne certificazione, a farlo analizzare dal Laboratorio di analisi sementi di Bologna. Concluso il ciclo di lavorazione comunque i semi venivano insaccati e in ogni sacco veniva apposto un cartellino in cui si dichiarava il tipo di seme, la germinabilità e la purezza, l'anno di produzione,la provenienza e soprattutto l'assenza di cuscuta. Lo spago che legava il sacco veniva infine piombato con un sigillo metallico che doveva garantire l'integrità del prodotto. La sua rottura comportava la cessazione della garanzia e scioglieva il produttore da ogni responsabilità sulla qualità dichiarata della merce.
Il laboratorio di selezione non serviva solo alle necessità del commercio, ma era largamente usato nei mesi invernali per la lavorazione dei semi che i contadini avevano accantonato per piantare l'anno successivo e che ovviamente non potevano essere seminati così come raccolti.
La selezione avveniva utilizzando diversi strumenti e macchine. Ci si poteva servire ancora di rudimentali crivelli o setacci di forma quadrata o rettangolare, ma anche rotonda, che venivano mossi dalle braccia – i più grandi erano appesi al soffitto - e con un movimento orizzontale e rotatorio permettevano di separare i semi a secondo della loro grandezza. Erano impiegati da sempre in agricoltura; una sopravvivenza del passato che testimonia ancora una volta come in questo mondo gli stessi attrezzi si siano conservati nel tempo, magari con piccole modifiche, e siano stati utilizzati per secoli fino ad arrivare ai giorni nostri.
Accanto ad essi, come primo macchinario, azionabile inizialmente con una manovella poi con la forza motore, c'era il ventilatore che univa al setaccio la forza della ventilazione e permetteva quindi in tempi più rapidi di dare un'eventuale prima sgrossatura alla merce, eliminando polvere, pula ed altre impurità.
I macchinari più moderni e più utilizzati alla fine erano però il vagliatore o trabatto, che, dopo aver eliminato attraverso la ventilazione la pula, faceva passare i semi su dei vagli a maglie molto fini e con un movimento sussultorio - ondulatorio li liberava di quelli più grossi e di quelli più piccoli. ; i cilindri o meglio separatori a cilindri, in cui l'elemento separatore era costituito da una coppia di vagli cilindrici – quello interno con fori più grandi del seme e quello esterno con fori più piccoli del seme – che permetteva di separare i semi in funzione delle dimensioni, nel caso di miscugli, ad esempio, l'erba medica dal trifoglio, almeno in parte; la magnetica o separatore elettromagnetico infine che eliminava una delle infestanti più temute, la cuscuta, il cui seme rugoso, una volta inumidito, tratteneva la polvere di ferro e veniva attratto dalla calamita e quindi finiva fra gli scarti.
Al commercio si aggiungeva quindi questa attività artigianale che lo completava ed integrava in maniera significativa.
La licenza comunque non riguardava solo i semi da prato, ma anche altri prodotti , che venivano così ad aggiungersi all'attività principale e che mutano o spariscono di pari passo con i cambiamenti avvenuti in agricoltura. Ecco allora gli stracci, le pelli di coniglio e il ferraccio, che costituivano, però, più una possibilità che una reale attività di commercio, in quanto marginali, poco remunerativi e monopolizzati da altri ambulanti che si dedicavano esclusivamente a trattare quel tipo di merce. Più significativi e importanti, almeno fino al secondo dopoguerra, i bozzoli dei bachi da seta, le fecce, ossia il residuo depositato dopo la fermentazione del vino, e i tartrati (localmente chiamati “tarcio”) che si attaccavano alla superficie delle botti e venivano tolti con un apposito martelletto e quindi venduti.
Il commercio dei bozzoli 5 è strettamente legato alle sorti dell'industria serica che, dopo i fasti dell'Ottocento, cominciò a mostrare qualche difficoltà fra le due guerre ed entrò definitivamente in crisi dopo la seconda per la concorrenza delle fibre sintetiche e per la progressiva scomparsa dei contadini e dei mezzadri che fino ad allora avevano provveduto all'allevamento dei bachi.
La trasformazione dell'agricoltura comportò non solo la fine del commercio dei bozzoli, ma anche dell'altra categoria merceologica compresa nelle licenze della prima metà del Novecento: le fecce e i tartrati, che ogni cantina di contadino aveva fin lì prodotto.
Sia pur con maggiore lentezza finirà per colpire gli stessi semi da prato, che dagli anni settanta - ottanta del Novecento saranno sempre meno utilizzati in un'agricoltura che non prevede più mezzadri e stalle presenti in ogni fondo. Anche questo mestiere, così, come tanti altri legati ad un mondo e a una civiltà secolare ormai scomparsa, negli ultimi decenni si è grandemente ridimensionato e per quantità e per numero di operatori 6 e, se non è del tutto scomparso, è comunque profondante cambiato rispetto al passato, al punto che le caratteristiche sopra delineate appartengono ormai alla storia e non rientrano più nel vissuto quotidiano.
Le licenze e l'attività commerciale della famiglia Ricciotti nel Novecento
La prima licenza di commercio di cui abbiamo notizia risale all'11 febbraio 1925 e riguarda Emiliano che coinvolge nella sua attività, già a partire da questa data, il figlio Ugo, appena quattordicenne. Ha come oggetto “il mestiere di commerciante ambulante di stracci, pelli, semi da prato ecc” . Sul retro del documento, rilasciato dal sindaco del Comune di Ostra, troviamo scritto a matita, in un angolo e di pugno di Emiliano: ”Mediatore di semi, incettatore di piccole quantità di semi minuti e stracci ecc.”, che doveva essere l'esatta dizione con cui era registrato fra le ditte commerciali. La formula per altro riappare quasi identica nella Guida generale di Ancona e provincia del 1929, dove nella sezione “ Commercio e industria”, relativamente al Comune di Ostra, troviamo: “Ricciotti Emiliano - Incettatore e mediatore in semi, stracci e pelli, Via Pianello 22”. 7
Emiliano doveva esercitare la sua professione avvalendosi di un sidecar adattato al trasporto. Sempre di moto, ma anche di un cavallo e di un carro, almeno fino alla seconda guerra mondiale, si serviranno i figli, che nel corso del tempo affiancano il padre nell'attività commerciale.
Qualche anno dopo, precisamente il 9 gennaio 1935 8 la “Commissione per la disciplina del commercio ambulante” del Comune di Ostra concede ad Ugo Ricciotti la “Licenza per la vendita, nella provincia di Ancona e Pesaro, di semi da prato, fecce di vino, cereali e bozzoli” e pochi mesi dopo, il 19 luglio 1935 9, anche Giuseppe Ricciotti vede accolta la sua richiesta di una “ Licenza per la vendita ambulante, nella provincia di Ancona e Pesaro - Urbino, di semi da prato, cereali, pelli di coniglio, fecce di vino e stracci”. Non risulta che Emiliano rinnovi la sua e dopo il 1931 non compare negli elenchi degli ambulanti, ma comunque continuò con i figli quella che era ormai diventata l'attività di famiglia, come testimonia anche una controversia giudiziaria con un fornitore che risale proprio a quegli anni. Il 25 ottobre 1936, ad istanza del sig. avv. Giulio Pericoli, viene infatti citato a comparire innanzi al Giudice Conciliatore del Comune di Ostra per il mancato pagamento della parte residuale (£ 458,80) della somma dovuta per l'acquisto di una partita di bozzoli, risalente alla fine del mese di giugno del 1933 .
Nel 1941 Ugo e Giuseppe non appaiono più nell'elenco degli ambulanti perché richiamati alle armi e questo dovette sicuramente incidere sull'attività che finì per ricadere nuovamente su Emiliano e sul figlio Carlo, allora sedicenne, che successivamente, il 17 aprile 1945, si vide rilasciare dalla solita Commissione la licenza per la “Compravendita di semi da prato, feccie, stracci, pelli, bozzoli, cereali, rottami in ferro” 10.
Finita la guerra i tre fratelli, come appare dall'elenco degli ambulanti del Comune di Ostra del 1946, tornano ad operare insieme. Da notare come l'assenza di due di loro e i danni prodotti dal conflitto abbiano inciso anche sulle risorse di cui dispongono. Ugo dichiara infatti di utilizzare come mezzo di locomozione la motocicletta, ma Giuseppe e Carlo si devono accontentare di una semplice bicicletta. E il loro non è un caso isolato. Riguarda praticamente tutti gli ambulanti presentì nell'elenco, tranne uno che dichiara di servirsi di un cavallo. Già quattro anni dopo però la loro situazione appare decisamente migliorata e l'area in cui esercitano il mestiere si è ampliata: sono interessate le province di Ancona, Macerata, Pesaro e Perugia e spariscono le biciclette, sostituite dalle motociclette, da un autocarro 11 – la versione “camioncino” della Lancia Ardea entrata in produzione nel 1948, dalla portata di 8 q.li – e da una “Giardinetta Belvedere” di proprietà di Carlo. Nasce così la ditta “Lavorazione semi da prato – F.lli Ricciotti di Emiliano” con sede a Pianello di Ostra.
Nel 1951, poi, l'11 aprile, Carlo in qualità di titolare della “Ditta Ricciotti Carlo”, con negozio e magazzino in Ostra – Via Pianello, ottiene dal Prefetto della provincia di Ancona l'autorizzazione “alla vendita dei seguenti semi da prato: medica, trifoglio, sulla, lupinella in guscio ecc. sempreché la merce di che trattasi venga acquistata soltanto presso stabilimenti, Enti o privati in possesso di autorizzazione prefettizia per tale attività”. In questo modo l'attività fa un balzo qualitativo e alla semplice raccolta presso i piccoli produttori, mezzadri e coltivatori diretti, a cui si dedicano in particolare i fratelli Ugo e Giuseppe, che frequentano i mercati locali, si aggiunge la possibilità di trattare attraverso Carlo con commercianti ed enti di più alto livello che operavano sulla piazza di Ancona e Bologna.
Nel 1957 si registra un ulteriore passo avanti e al commercio si aggiunge la selezione. In data 8 aprile 1957 infatti con apposita autorizzazione del Prefetto della provincia di Ancona “La Ditta Ricciotti Carlo con sede in Ostra, fraz. Pianello, è autorizzata all'esercizio per la produzione e selezione di semi da prato, destinata all'interno, sempre che la merce venga acquistata da ditte munite di autorizzazione per la selezione e per l'esercizio dell'ortovivaismo”. La stessa autorizzazione è poi riportata nel “Foglio degli annunzi legali” della Prefettura di Ancona, Esercizio 1956-57,n. 78, 13 aprile 1957, p.344, n. 737. La ditta assume così l'assetto definitivo che la caratterizzerà nei decenni successivi e che la vede operare sia nel settore commerciale che in quello della selezione, anche per conto terzi. Viene quindi edificato nelle immediate vicinanze dell'abitazione di Carlo ed Emiliano il locale destinato ad alloggiare il laboratorio per la lavorazione dei semi e nell'estate del 1959 si procede all'acquisto dei macchinari: il 24 giugno un brillatore per semi completo di motore dalla Ditta Vallicelli Alighiero & figlio di Forlì, del costo di £ 165.800; il 23 giugno una macchina elettromagnetica a tre canali e n. 2 Decuscutatrici dalla Ditta Fratelli Brunati di Giuseppe di S. Martino di Lupari (PD), del costo di £ 1.215.400 , e due gruppi selezionatori per sementine a cilindri alveolati (uno già posseduto dalla ditta Ricciotti, rimodernato e perfezionato) dalla ditta Giuseppe Mazzetti di Bologna per un totale di £ 968.200. Le macchine selezionatrici vengono montate ed installate e il laboratorio, sotto la direzione di Carlo, può con nuovi e più moderni strumenti riprendere una lavorazione che già in qualche modo doveva essere stata svolta, sia pur parzialmente, anche in precedenza e che resterà in funzione a Pianello di Ostra, per altri trenta anni.
Definiti e consolidati gli ambiti produttivi l'attività procede senza scosse fino alla fine degli anni sessanta, cioè fino alla morte di Giuseppe ed Ugo. Allora tutto resterà affidato all'iniziativa di Carlo, che riuscirà, nonostante le difficoltà e il moltiplicarsi dei compiti, a garantire comunque la sopravvivenza e la continuità stessa della ditta.
Nel 1972, adeguandosi alla normativa che riordinava su nuovi basi l'attività commerciale nel settore sementiero, richiede ed ottiene una nuova licenza per la produzione a scopo di vendita delle “Sementi per colture erbacee da pieno campo e miscugli, esclusi i cereali, nonché le sementi ortive, ornamentali e da fiore”. Come già in passato anche questa è pubblicata nel “Foglio degli annunzi legali” della Prefettura di Ancona, Esercizio 1974,n. 30, 13 aprile 1974, p.383,n. 777. Approvato il Regolamento attuativo della legge si dota del “Registro di carico e scarico della produzione e della importazione sementiera” in cui registra anno dopo anno l'attività di selezione dei semi.
Agli inizi degli anni ottanta collabora con la Società Cooperativa Agricola “La terra e il Cielo” di Senigallia nella produzione di semi di erba “alfa alfa” (medica), destinati all'esportazione, secondo il metodo dell'agricoltura biologica, cioè senza l'impiego di concimi chimici, diserbanti e antiparassitari.
La “Ditta Ricciotti Carlo – Commercio e selezione semi” resta attiva fino al luglio del 1988, quando Carlo, ormai gravemente malato e avendo i figli Giovanni e Tarcisio intrapreso altre strade, sarà costretto a chiudere l'attività.