Negli anni seguenti all’Unità d’Italia con la nascita dello Stato civile e dell’Anagrafe presso i vari Comuni e con l’introduzione nel 1865 del primo Codice civile italiano (il Codice Pisanelli), si registrò una decisa contrapposizione fra il matrimonio religioso, da sempre esistente e caratterizzante le vite dei singoli e delle popolazioni, e il nuovo rito civile, che viene percepito come un’imposizione e come un obbligo di scarso significato emotivo e sociale per le coppie interessate e per la comunità. Nasce così un altro motivo di scontro all’interno del più complesso problema dei rapporti conflittuali tra Stato e Chiesa.
Normalmente il matrimonio religioso – quello che per la gente delle campagne rappresenta il matrimonio vero - precede quello civile che di solito segue di qualche mese, ma a volte avviene addirittura dopo anni, creando nel frattempo problemi di figli illegittimi, di possibili vedove che rischiano di non vedersi riconosciuto nulla, di mancate tutele da parte dello Stato alla famiglia in genere.
Il problema negli anni immediatamente successivi all’unità d’Italia appare piuttosto delicato e viene registrato dalla rivista il “Monitore dei Tribunali” che nel 1872, riprendendo i dati forniti dalla rivista di orientamento cattolico “La Perseveranza”, rilevava che nel bresciano i matrimoni religiosi celebrati senza esser preceduti o seguiti da quello civile ammontavano a “parecchie migliaia” e nel 1873 ritornava ancora sull’argomento e notava che “la proporzione dei matrimoni meramente religiosi, contratti in Italia dal 1° gennaio 1866 al 31 dicembre 1872, sarà di circa centottantamila”.
La tendenza si mantiene costante anche negli anni successivi tanto da spingere il ministro Bonacci a proporre nel dicembre del 1892 un disegno di legge che impone la precedenza del matrimonio civile su quello religioso, prevedendo in caso di inosservanza della stessa, sanzioni penali per il sacerdote, per gli sposi e per i testimoni. La proposta darà il via a tutta una serie di polemiche e non verrà alla fine approvata. La soluzione del problema si avrà solo con il Concordato che prevede fra l’altro la trascrizione in automatico del matrimonio religioso.
Casi di questo tipo si registrano anche nelle Marche per tutta le seconda metà dell’Ottocento e talvolta anche nel primo decennio del Novecento. Riguardano anche alcuni esponenti della famiglia Ricciotti: Annunziata, primogenita di Pietro Ricciotti, e il fratello Angelo, nati a Ostra, rispettivamente il 12 novembre 1846 e il 13 giugno 1856.
Annunziata sposa Costantino Belardinelli, secondo il rito religioso, nella chiesa di S. Lucia il 20 ottobre 1870; il rito civile avverrà solo il 23 novembre 1883, tredici anni dopo. Si viene così a creare una singolare situazione.
I due primi figli, Antonio e Nicola, nati rispettivamente l'8 giugno 1875 e il 5 maggio 1878, all'atto del battesimo risultano per la Chiesa ovviamente figli di “coniugi legittimi” e portano il cognome del padre.
In Comune invece Antonio viene denunciato da Maria Vitali, levatrice, che ne dichiara la nascita in contrada S. Ubaldo, n. 916 “da una donna che non consente di essere nominata”. Al “bambino di sesso mascolino” vengono dati i “nomi di Antonio Luigi Giovanni e il cognome Favini”. La stessa levatrice fa poi “istanza di lasciare a lei detto bambino, promettendo, alla presenza dei testimoni […] di assumerne l'allattamento e la custodia, non che di darne conto ad ogni richiesta dell'Autorità”. Viene quindi registrato a questa altezza cronologica come “nato da ignoti”.
Il fratello Nicola, tre anni più tardi, viene denunciato in Comune, questa volta dal padre, che se ne assume quindi la paternità, come nato, “dalla sua unione con donna non maritata, non parente, né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento”.
I due verranno riconosciuti come legittimi solo all'atto del matrimonio civile, con una specifica nota presente nell'atto: “Gli sposi alla presenza degli stessi testimoni hanno esposto altresì che dalla loro unione naturale nacquero due figli che come nati il primo da ignoti genitori e il secondo da unione illegittima, si denunciarono a quest'Ufficiale il primo il 10 Giugno 1875 che l'appellò Favini Antonio e il secondo il 6 maggio 1878 che l'appellò Belardinelli Nicola, e mi hanno dichiarato che col presente atto li riconoscono per propri figli all'effetto della loro legittimazione”. La nota verrà poi trascritta anche di fianco agli atti di nascita dei due figli.
Analogo il caso del fratello Angelo Ricciotti, che sposa Anna Manoni secondo il rito religioso nella chiesa di S. Lucia il 15 febbraio 1879 e regolarizzerà l'unione in Comune ben 18 anni dopo, il 23 ottobre 1887.
Anche in questa circostanza nei registri parrocchiali i figli risultano nati da coniugi legittimi. In Comune invece vengono denunciati dal padre, che dà loro il proprio cognome, come nati “dalla unione con donna non maritata, non parente, né affine con lui nei gradi che ostano al riconoscimento”. Pure questi verranno, poi, riconosciuti e legittimati all'atto del matrimonio civile.
Due vicende per certi aspetti curiose che mostrano come in un piccolo centro, in cui tutti conoscevano tutti e in cui le nascite avvenivano in casa, una famiglia potesse essere perfettamente legittima per la Chiesa e per la popolazione e al tempo stesso inesistente per lo Stato.
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