Porchetta e porchettari in Ancona dal Cinquecento al Settecento

Nella cultura e nella civiltà occidentale l'allevamento e la macellazione del maiale hanno avuto da sempre un grande spazio, perché permettono di ottenere una riserva di carne ampia e relativamente a buon mercato, che ha anche l'indubbio vantaggio di poter esser consumata non solo fresca, all'atto della macellazione, ma in tempi successivi attraverso la cosiddetta salata e, nei mesi estivi, sotto forma di porchetta.

L'attività di porchettaro, strettamente legata in passato a quella dei “tricoli” o “salcicciari”, ma esercitata anche da altri operatori del settore alimentare, appare come una costante delle Marche e più in generale della fascia mediana dell'Italia. Risale a tempi remoti e lontani in quanto arriva fino a noi dal mondo dell'antica Roma e appare documentata fin dal Medio Evo.

Per l'area marchigiana la prima testimonianza ci viene dagli Statuti del Comune di Montalboddo [oggi Ostra], risalenti al 1366 che, regolando un'attività già presente da tempo, ne parlano nella rubrica 94: De dovana solvenda per fatientes porchectas copertas 1. Vengono precisate le condizioni a cui devono sottostare quanti vendono la porchetta al di fuori e all'interno del Comune e si stabilisce che siano tenuti a pagare 12 denari, nel caso la vendita avvenga al di fuori dell'uso consueto della città, altrimenti devono rispettare nella vendita le norme fissate dal Comune:

“Item statuimus et ordinamus quod quicumque de Terra Montis Bodij et districtus, sive etiam forensis, porchectas integras vel ad minutum facere et vendere voluerit in dicta Terra vel districtu ipsius [solvere] teneatur et debeat atque dare Comuni Terre predicte, pro qualibet porchecta, duodecim den. si contingat [non ven]di per dictum Comune usum et exercitium dictarum porchectarum. Si vero vendi contingat, nullus facere vel vendere audeat, nisi secundum pacta inter dictum Comune et emptores conventa”2.

Le porchette vengono ricordate anche nella successiva rubrica 95, De doana accipienda de furnis, et de modo tenendo per fornarios califatiendo furnos, et accipiendo fornatica , che regola l'uso dei forni e l'attività dei fornai, nella parte in cui si vieta di utilizzare gli ossi delle olive per scaldare il forno:

"Et nulla persona Terre predicte et districtus, vel etiam aliunde, audeat vel presumat calefacere aliquod furnum dicte Terre vel districtus, nec panes coquere, vel porchectas, vel alias res in furno coquendas, coquere cum ossibus olivarum"3.

Altre testimonianze, che ci riportano alla metà del Cinquecento, appaiono ad Ancona e nell'area circostante. A differenza di quanto accade per altre località, non se ne parla nelle Constitutiones sive statuta civitatis Anconae , pubblicate a stampa nel 1566, dove al maiale sono riservate solo tre rubriche legate all'allevamento domestico, alla sua esportazione al di fuori del territorio comunale e al modo di pelarlo dopo l'uccisione, così da poter distinguere i maschi, che andavano liberati dalle setole con l'acqua bollente, dalla femmine, per le quali invece bisognava usare il fuoco.

Viene però ampiamente documentata nei libri che registrano l'entrata degli animali dalla porte cittadine per l'uso del macello; nei Libri dello scrivano del macello , a cui sono allegati registrini o ristretti delle carni porcine rostite o salate; e nei libri della Locazione dei dazi . Trattandosi di un'attività stagionale non appare, tranne che per un caso, nel Libro de Beccaria che va dal 22 marzo al 20 aprile del 1554. Diversamente nel coevo Libro de lintratta de la porta da più animali , che registra gli ingressi dalla porta di Capodimonte per un arco temporale maggiore, dal 24 marzo 1554 al 7 febbraio 1555, e comprende quindi anche il periodo estivo, figura frequentemente nei mesi di luglio, agosto e settembre quando sono numerose le introduzioni di “porci rosti da vendere in piazza”.

 Il dato ritorna anche nei libri relativi agli anni successivi e conferma che nel pieno della stagione la porchetta risulta il prodotto di gran lunga più presente sul mercato. Negli altri mesi dell'anno prevalgono gli asini, i capretti, più raramente i vitelli o i buoi, e di maiali se ne parla solo nel periodo invernale in cui vengono macellati. Da luglio a settembre invece la porchetta la fa da padrona come mostra, a titolo esemplificativo il Libro del macello 4 che elenca gli animali entrati nella città di Ancona dalla porta del Calamo dal 14 aprile 1571 al 15 aprile 1572. Se si esamina la pagina relativa al 1° agosto 1571 si vede che, a parte pochi casi relativi a 4 asini, 1 capretto, 1 vitella, 4 “presciutti” e carne fresca macellata, la stragrande maggioranza degli ingressi, 20 su 32, riguarda le porchette che non solo vengono trasportate in Ancona per il consumo interno alla città, in 29 casi, ma anche fatte uscire per essere vendute al di fuori di essa, in 9 :

“Addì primo agosto 1571
Fora da mondamo mise A[sini] uno
Ludovico terminio mise porchetta una
Roco mise porchette quattro
Rocho mise uno capretto e una porchetta
Luca da iesi mise A[sini] uno
Menco mise porchette doi
Pace mise porchette doi reportò fora
Donna chiara mise porchetta una
Magiolo mise porchette doi
Andrea mise porchetta una
Flaminio mise porchetta una
Madalena mise A[sini] un
Gio: mise porchetta una
Gio da falconaro mise porchetta una
Thomasso mazoleni mise A[sini] uno e porchette doi
Bartolomeo mise porchette doi 1 portò fora
Salvestro mise porchetta una
Domenico dal Staffolo mise una porchetta
Stefano mise porchette 4 le portò fora
Pandolfo mise porchette 2
Giovagnino mise porchette 3
Belardino ha venduto carne mort. na #5 575 a ½ q. no p. #
Stefano mise porchetta una
Marcho dalla roccha mise in un fangotto 4 presciutti de # 50
Paulo ha venduto fuora della porta carne morta. na # 316 a ½ q. no p. #
Belardino da Camborano ha venduto fuora della porta carne mort. na de # 272 # 20 ne portò fora a ½ q. no p. #
Gasparo mise una porchetta
Bellino ha venduto fora della porta carne mort. na de # 465 a ½ q. no p. #
Matteo mise 2 porchette 1 riportò fora
Piero mise una vitella da latte de # 69 a
Matteo mise una porchetta
Pandolfo mise una porchetta”.

Due anni dopo, nel 1573, nella parte del Libro del Macello dedicata alla carne porcina, che è sempre segnata a parte rispetto a quella di manzo, vitello, agnello ecc. ed è trattata dai beccari, vengono registrati “tutti li porci che si fanno arosti e in salcicia e salciciotti da tricoli”. Nel periodo estivo, dal 17 giugno fino al 19 settembre, Francesco Bechen, Liopardo di Pietro milanese, Giovanni Schiavone e Mutio da Ravena macellano complessivamente 106 porci per trarne solo porchette, rispettivamente 60, 38, 7 e 1 6. Dal 20 settembre, poi, a riconferma di come questa attività fosse stagionale, ritornano a produrre solo salcicce e salsicciotti.

Le registrazioni annuali successive, volte sempre a riscuotere le gabelle sulla carne macellata, confermano anno dopo anno questa realtà. Nel 1596, tanto per fare un altro esempio a chiusura di secolo, nelle ultime pagine del Libro del Macello , viene annotata giorno per giorno la pesatura di “tutti li porci, che si salaranno, si faranno in salciccia et salsicciotti, et per rostire con maraconi per salcicciotti, et per insalare”. Ad operare sono quattro salcicciari che, dal 27 luglio al 19 ottobre, si convertono in porchettari e preparano per il mercato160 porchette. In realtà sulla piazza sono presenti solo Piero de Paolo Facchinetto e Venantio da Camerino, che pesano e pagano la gabella per 88 porci il primo e 68 il secondo. Prende salcicciaro e Piero del Cavaliere si limitano infatti a pesarne rispettivamente solo 3 e 1 7.

Alla fine del Cinquecento, poi, ogni anno vengono registrate le licenze concesse ai salcicciari e porchettari per poter esercitare la loro attività. Alla concessione del punto vendita, che deve essere garantita da una fideiussione, è legata la promissio di rispettare le clausole imposte dall'autorità e di pagare il dazi convenuti.

La prima in ordine di tempo, risale all'11 agosto 1586 ed è posta in calce all'atto che stabilisce i dazi dei tricoli. Riguarda Pietro di Domenico di Ancona a cui appunto i Deputati preposti ai macelli avevano concesso la licenza “vendendi salcitias et faciendi ac vendendi porchettas” 8. Alla sua seguono quella di Giovanni Francesco di Antonio Sbordiche, di Pietro Prendi di Antonio e di Leopardo di Pietro, tutti salcicciari d'Ancona. La sequenza, con qualche variazione, si ripete poi negli anni successivi – nel 1587, ad esempio, sono coinvolti Pietro Prendi di Antonio, Giacomo di Bartolo di Montesicuro, Leopardo di Rosso - a conferma di una presenza costante dei porchettari sulla piazza del mercato di Ancona.

La documentazione cinquecentesca relativa alla porchetta nel territorio d'Ancona si completa poi con le notizie riguardanti una famiglia di porchettari, provenienti da Fratte Rosa (PU), che, attorno alla metà del Cinquecento, si stabilisce nel territorio del castello di Falconara [oggi Falconara Marittima]. Si tratta di Andrea porchettaro, del figlio Giulio e del nipote Battista che per almeno tre generazioni, tra la seconda metà del Cinquecento e i primi decenni del Seicento, esercitano l'attività di venditori di porchette e di commercianti di animali da macello, acquistandoli nel contado e rivendendoli successivamente alla pubblica Beccheria del capoluogo.

Appaiono citati negli atti parrocchiali, negli ingressi al macello, negli scritti notarili. Fra questi, significativa nella sua particolarità, è una registrazione di debito effettuata a Falconara dal notaio Marco di Bono, che il 18 gennaio 1582 annota: “Andrea da le porchette me deve dare bolognini sei per prezo di dui reste di aglio datoli presente Matteo de Piero porcaro” 9 . Significativa perché riguarda due trecce d'aglio, un ingrediente base della porchetta, e ci offre quasi in un'istantanea un momento della sua attività.

Per il Seicento, poi, le testimonianze si fanno più frequenti e diventano sistematiche, anche se non pienamente documentabili per il fatto che non tutti i registri sono arrivati fino a noi.

Già nel Libro del macello che va dal 1 aprile 1600 all'11 marzo 1601 si trovano due distinte annotazioni riguardanti Pietro del Cavaliere e Lione d'Ancona che, a partire dal mese di agosto ad ottobre, hanno rispettivamente pagato il dazio per 99 e per 28 “porci per rostire” 10. L'anno seguente l'attività dei salcicciari viene distinta nelle sue diverse articolazioni. Risulta così che Pietro del Cavaliere ha macellato 16 porci per farne porchette, 40 e mezzo “per fare salcicce”, 20 “per salare” e un maracone; mentre Piero Fachinetto ne ha lavorati 62 per la porchetta, 43 “per fare salcicce”, 4 “per salare” e un maracone 11 . Le testimonianze continuano per tutto il secolo e per quello seguente 12. Sono sempre finalizzate a scopi fiscali, perché permettono il calcolo del pagamento del dazio sui porci, della gabella sulle porchette e del nolo del banco di vendita sulla piazza.

La consistenza della produzione delle porchette in rapporto alla vendita della carne fresca e salata rimane nel tempo una costante, come dimostrano, tanto per fare un esempio, i dati più tardi ricavabili dall'attività di Domenico Nechia e Giuseppe suo figliolo, che dal 3 luglio 1683 a tutto settembre di quell'anno confezionano 41 porchette per 5.910 libbre, pari a 19 quintali. Una quantità di tutto rispetto, se si pensa che per la salata porcina fra il 19 ottobre 1683 ed il febbraio dell'anno successivo, gli stessi macellano 39 porci per 7762 libbre, pari a 25,88 quintali, e 6 maroni per 2630 libbre, equivalenti a 8,70 quintali 13.

Gli atti secenteschi si rilevano, poi, quanto mai interessanti perché ci danno non solo indicazioni quantitative sulla produzione delle porchette, ma, indicando i vincoli a cui devono sottostare i produttori, ci offrono anche preziose informazioni sulle loro caratteristiche e sul modo in cui dovevano esser preparate.

Nel quarto decennio del Seicento, precisamente il 10 luglio 1643, il pubblico notaio Lelio Berardi nel Liber locationes domorum et datiorum Illustrissimae Comunitatis Anconae , registra fra i tanti anche gli obblighi che Francesco del q. Sante di Ancona, si assume nei confronti dei Deputati ai Macelli, una volta ottenuta la licenza ad esercitare la sua professione. Innanzi tutto promette e si obbliga solennemente a confezionare “porchettas bene coctas et custoditas” e a venderle a “ventidue quattrini la libbra” nel suo banco posto nella Piazza Grande.

Relativamente alla loro lavorazione, poi, nei capitoli da osservarsi si precisa:

“che dette porchette siono d'honesta grandezza et che non eccedono il peso di libbre 100 per ciascuna;
che non siono né scrofe né guerri;
che si ammazzino al solito macello e si pesono dallo scrivano pubblico, e non da altre persone;
che siono ben cotte custodite, condite con aglio e finocchio e altri ingredienti conforme il solito;
che non si mettono dentro carne d'altre bestie, né meno le coratelle delle medesime porchette, le quali coratelle doveranno vendere crude a prezzo ragionevole da giudicarsi dalli Deputati;
che siono il giusto peso sotto pena della perdita delle porchette e d'altrettanto quanto è il valore d'esse da distribuirsi conforme il solito;
che sia tenuto pagare le solite gabelle e datij tanto alla Reverenda Camera, e suoi ministri, quanto all'Illustrissima Comunità d'Ancona e suoi datierij, particolarmente il nuovo quattrino camerale ultimamente imposto […] sotto la pena di quelli che fraudano li datij 14;
che se le predette porchette eccedessero il suddetto peso di libbre 100 l'una di qualche poca quantità debbono li venditori domandare licenza a detti Signori Deputati di venderle, sotto pena della perdita di esse e d'altro tanto quanto sarà il loro valore;
che dove non è compresa la pena s'intenda di scudi 10 a ciascuno e ciascuna volta da prendersi e applicarsi conforme al solito …” 15.

Le medesime condizioni si ritrovano negli atti e nelle disposizioni che anno dopo anno disciplinano nel corso del tempo la produzione delle porchette, che a metà Seicento ad Ancona sono diventate ormai un prodotto standard dalle caratteristiche ben definite, precisate in un apposito disciplinare a cui i porchettari, pena multe salate, non possono derogare.

La concessione della licenza e di un banco di vendita nella piazza grande della città è infatti strettamente collegata all'obbligo di rispettare i capitoli sopra riportati che ne regolano il commercio e che nel corso del tempo si fanno in parte più articolati.

A metà Settecento, in data 28 giugno 1760, il tricolo Saverio Bianchetti si vede rilasciata dai Deputati ai Macelli dell'Illustrissima Comunità di Ancona la licenza di “poter fare le porchette arrostite in questa città ben asciutte, e condizionate, e vestite dei soliti ingredienti, da vendersi al prezzo di bajocchi 4 la libra, e non altrimenti, data la solita Sigurtà, e di tener affissa la presente a cognizione di tutti, sotto pena di scudi dieci in ogni mancanza […]” 16.

I capitoli da osservare sono quelli già previsti un secolo prima con l'aggiunta di qualche ulteriore vincolo, ossia di non togliere dalle porchette lombi e lonze e di venderle al minuto secondo il giusto peso, sotto pena della perdita delle porchette stesse. L'atto si chiude con la formale promessa da parte del tricolo di rispettare il tutto e di osservarlo inviolabilmente.

 

Abbreviazioni

ACOar = Archivio Comunale Ostra antico regime
ASan = Archivio di Stato Ancona
ACan = Archivio comunale Ancona

1 ACOar, Statuti (1366), b. 4,1.1.2.2, lib, I, rubr. XCIV. Testo tratto da A. Menchetti, Gli statuti di Montalboddo dell'anno MCCCLXVJ, con le modificazioni e le aggiunte degli anni MCCCLXVIIIJ, MCCCLXXJ e MCCCLXXV. Appendice al libro secondo della Storia di un comune rurale della Marca anconetana , Jesi, Tipografia jesina, 1913.
2 “Ancora stabiliamo e ordiniamo che chiunque della città di Monte Bodio e del territorio, o anche straniero, voglia fare porchette intere o al minuto e voglia vendere nella detta città o territorio sia tenuto a pagare e debba anche dare al Comune della città predetta, per ogni porchetta, 12 denari se accada che non sia venduta secondo l'uso consueto del Comune e l'esercizio delle dette porchette. Se invece accada che siano vendute, nessuno osi fare o vendere, se non secondo i patti stabiliti fra il detto Comune e i compratori”. Ibidem , p. 128.
3 "E nessuno della Terra predetta e del suo territorio, o anche d'altrove, osi o presuma di scaldare un forno della detta Terra o territorio, né di cuocere il pane o le porchette o qualsiasi altra cosa si possa cuocere al forno, usando gli ossi delle olive”, Ibidem , p. 130
4 ASan, ACan, III, Entrata degli animali dalle porte cittadine per uso del macello , 3, Libro del macello , 14 aprile 1571- 4 aprile 1572.
5 L'abbreviazione sta per libbra che corrisponde alla terza parte di un chilogrammo, equivale quindi a poco più di 330 grammi.
6 ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 4, Libro del macello , 21 marzo 1573 - 13 febbraio 1574.
7 ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 25, Libro del macello , 13 aprile 1596 – 24 febbraio 1597.
8 ASan, ACan, III, Liber datiorum , 16, 21 maggio1584 - 31 dicembre 1589
9 ASan, ANan, notaio Marco di Bono, 1574 - 1588, n. 717, c. 60.
10 ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 29, Libro del macello , 1 aprile 1600 - 11 marzo 1601, cc.172-173.
11 ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 30, Libro del macello , 21 aprile 1601-26 febbraio 1602.
12 Accade tanto per fare qualche esempio nel 1610, nel 1614 con il Libro de Porchette roste et altro , nel 1616 con il Registrino delle carni porcine rostite e così via. Rispettivamente in ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 38, 41, 43.
13 ASan, ACan, III, Libri dello scrivano del macello , 94, Libro del macello , 17 aprile 1683 - 14 febbraio 1684.
14 Dal 1653, a garanzia dell'effettivo e puntuale pagamento, il capitolo è completato con la formula: “E per maggior cautela promette ogni sabato dare la nota di haver pagato a chi si deve le suddette gabelle”.
15 ASan, ACan, III, Locazione dei dazi , 19, Liber locationes domorum et datiorum , 15 settembre 1642 - 17 gennaio 1646.
16 ASan, ACan, III, Locazione dei dazi , 55, Liber datiorum , 31 gennaio 1755 - 15 gennaio 1762.