La famiglia Ricciotti ha avuto, almeno per il periodo che possiamo indagare, una storia abbastanza lineare. Originaria del Castello di Fratte [ora Fratte Rosa di Pesaro], da cui provengono il capostipite Francesco e il figlio Andrea, si insedia alla metà del Cinquecento nel territorio del Castello di Falconara [ora Falconara Marittima], un piccolo centro posto a pochi chilometri da Ancona e abitato all'epoca da poche centinaia di persone.
Il dato migratorio è di per sé coerente con le dinamiche demografiche di quel momento storico caratterizzato appunto da una consistente emigrazione dall'area pesarese e urbinate verso Falconara e altre località del contado anconetano.
Il capostipite è un certo Francesco dalle Fratte, nato presumibilmente nel primo decennio del Cinquecento. Alla metà del secolo opera nel circondario di Ancona, come testimonia il Libro de Beccaria della città per l’anno 1554.
E' registrato infatti in due occasioni mentre introduce nella città animali da macello: il 28 marzo, tredici capretti, due manzi e due asini, e il 15 aprile, tre asini . Si può quindi con certezza affermare che svolgeva l'attività di commerciante di animali, acquistati nelle campagne e poi venduti al pubblico mattatoio. Non sappiamo se, come il figlio Andrea, integrasse questo lavoro con la produzione e la vendita di porchette, che aveva andamento stagionale e si svolgeva normalmente fra luglio e settembre.
Gravita quindi sulla città di Ancona, ma non abbiamo documenti che indichino la località in cui si trasferisce. Potrebbe essere la stessa Falconara, dove negli anni ’70 del Cinquecento si trovano già diverse persone provenienti appunto da Fratte. Compaiono negli atti di battesimo, di matrimonio e di morte, iniziati a trascrivere, nella Pieve di Santa Maria delle Grazie del Castello di Falconara, dal 1578: Berardino dalle fratte, Luca d’Arfano Pacchiarini dalle fratte, Mansueta de Simone Pacchiarini dalle fratte, Manello de Puliandro delle fratte che il 18 giugno1578 sposa una certa donna Giulia e infine Berto de Giulio dalle fratte che il 1° ottobre 1758 compare come padrino in un battesimo e appena due anni dopo ritorna nella prima registrazione parrocchiale del Libro dei morti: “18 giugno 1580 fu amazato Berto dalle frate di anni 30 in circha”.
In tutti gli atti Francesco viene individuato attraverso il riferimento al luogo di provenienza ed è indicato semplicemente con l’appellativo “Francesco da le Fratte”, che risulta così il primo modo con cui viene contraddistinto il capostipite della famiglia.
Il figlio, Andrea porchettaro, nasce attorno al 1530-1540. Lo troviamo più volte citato fra il 1577 e il 1588 nelle note del notaio Marco di Bona che rogava a Falconara Marittima. Appare in un volume che si presenta come un brogliaccio, un libro di tenuta contabilità per conto terzi, in cui sono inseriti anche alcuni istrumenti. Vi si trovano prevalentemente note di credito o di pagamento relative agli affari degli abitanti di Falconara e Fiumesino.
Andrea è ricordato cinque volte: in una nota del 9 maggio 1577, dove è chiamato “ Andrea da le porchette” ; in un'altra del 16 febbraio 1579, che registra il pagamento di un bue acquistato il Natale precedente; e infine in un'ultima del 18 gennaio 1582, che annota un debito legato alla sua attività: “andrea da le porchette me deve dare bolognini sei per prezo di dui reste di aglio datoli presente Matteo de Piero porcaro …” . Nota questa importante perché distingue chiaramente fra la professione di porchettaro e quella di porcaro e perché riguarda due trecce d'aglio, un ingrediente base della porchetta. In altri due atti del 10 maggio 1587 e del 4 luglio 1588 figura invece come testimone e proprio nel secondo abbiamo il nome del padre e la località di provenienza: “Andrea di Francesco da le fratte detto porchettaro” .
Esercita come dice il soprannome il mestiere di porchettaro, cioè di produttore e venditore di quelle che all'epoca venivano chiamate “porchette roste”. Un mestiere allora largamente diffuso in tutte le Marche e ovviamente anche ad Ancona e nelle località circostanti. La nota del 16 febbraio 1579, relativa all'acquisto di un bue, fa pensare che non fosse solo un porchettaro, ma che acquistasse e vendesse anche altri animali da macello.
Andrea compare non solo negli atti notarili, ma anche nei registri della Pieve di Santa Maria delle Grazie del Castello di Falconara. Qui le tracce documentali sono numerose e presentano una maggiore diversificazione nei modi con cui viene individuato. Inizialmente come per il padre prevale il luogo d’origine. Nella prima registrazione, risalente al 17 agosto 1578, che lo vede come testimone in un matrimonio, è detto “Andrea delle Fratte” e, analogamente, in un battesimo del 22 gennaio 1584 è chiamato “Andrea de Francesco dalle frate “, ricorrendo al toponimo accompagnato dal patronimico. In tutti gli altri nove atti, però, stilati fra il 1579 e il 1594, in cui è ricordato sempre come compare o testimone, è definito con la formula “Andrea porchettaro”. Così figura, ad esempio, nella lista dei cresimati del 10 settembre 1586, dove è presente come comare anche una “Camilla del porchettaro”, che potrebbe essere la moglie, morta “d'anni 90 incirca” nel 1624. Evidentemente con il passare degli anni doveva essere entrato a far parte della comunità a tal punto che in un breve arco di tempo sulla provenienza finisce per avere la meglio il mestiere. Gli appellativi “porchettaro”, “detto porchettaro”, “da le porchette”, presenti negli atti notarili e in quelli parrocchiali che lo identificano all'interno della piccola comunità di Falconara, rinviando appunto alla sua professione, non riescono però a trasformarsi successivamente nel nome di famiglia e vengono abbandonati nell'arco di poche generazioni a favore del nuovo, definitivo cognome: Ricciotti.
Muore probabilmente fra il 1594 e 1599, visto che proprio nel gennaio di quest'ultimo anno un suo nipote viene battezzato dal figlio Giulio con il suo nome. Sicuramente prima del 1620, dato che nell'atto di battesimo–morte di Andrea e Francesco di Battista di Giulio del 26 ottobre 1620 viene definito con la formula “quondam Andrea”.
Giulio porchettaro, nasce attorno al 1567. Non conosciamo il luogo in cui nacque e dove trascorse la giovinezza e i primi anni del matrimonio, anche se possiamo ragionevolmente presumere che fosse nell'area immediatamente prossima ad Ancona. Giulio risulta presente a Falconara già nel gennaio del 1587, data in cui viene registrata la nascita della figlia Catarina e nel 1589 la sua presenza è confermata dalla sua registrazione come padrino in un battesimo.
Vi arriva con la moglie Lucrezia ed esercita, come ci dice il soprannome, l'attività del padre che, come si è detto, non si limita solo alla vendita delle porchette, ma comporta anche il commercio del bestiame da macello. Per questo, inserendosi nella nuova piccola realtà falconarese, arriva ad assumervi ben presto un certo ruolo. Lo si deduce dall'atto di morte dove nell'interlinea è aggiunta, per meglio definirlo, la parola “massaro” . L'annotazione è di grande rilievo perché, in mancanza di altri documenti, ci dice che era uno dei membri del Consiglio o Parlamento della Comunità di Falconara, composto appunto da parlamentarii o deputati , detti in antico “massari”. Erano i capi di casa eletti, che, sotto il controllo del Vicario e del Podestà, nominati dagli Anziani di Ancona, esercitavano assieme ai “difenditori” o priori il potere amministrativo ed esecutivo. Giulio appare quindi come il primo componente della nostra famiglia attivo in campo istituzionale e apre così la strada a tutti quei Ricciotti che avranno incarichi rappresentativi ed amministrativi nei secoli successivi fino a tutto il Settecento.
Giulio ebbe sei figli: Battista, Vittoria, Andrea, Paolo e Dianora. Muore a Falconara il 28 aprile 1635.
Battista porchettaro nasce a Falconara il 16 ottobre 1588.
Il 12 febbraio 1614 sposa Camilla di Giovanni Felice da cui ha un figlio, Giovanni Paolo, nato l'11 dicembre 1614 e morto il 23 dello stesso mese. Dopo la morte della moglie, avvenuta di lì a poco, il 10 dicembre 1615, passa a seconde nozze e l'8 aprile 1617 sposa Francesca di Domenico Marchione.
Dal secondo matrimonio nascono nove figli: Antonio, Giovanni Paolo, i gemelli Andrea, Francesco e un'altra sorella nata morta, Domenico, Camilla e i gemelli Francesco e Camilla. Una famiglia numerosa solo apparentemente, perché quattro dei figli morirono appena nati o pochi giorni dopo la nascita.
Un appunto sulla coperta del Libro del macello che va dal 2 aprile 1616 al 4 febbraio 1617 conferma che Battista prosegue l'attività di famiglia nel settore della compravendita degli animali da macello: “Gio. Battista a Falconara A[sini] tre”. Continua anche la produzione e la vendita di porchette come dimostra il fatto che venga ancora identificato con il soprannome “porchettaro”, che finisce così per distinguere le prime tre generazioni della nostra famiglia. Un documento più tardo, però, un atto di battesimo del 1664 in cui appare come madrina la figlia Camilla, gli attribuisce il soprannome di “Ricciotto”, che passa poi al figlio Antonio e diventa quindi il nuovo e definitivo cognome.
Di Domenico e Francesco, figli minori di Battista, possediamo solo l'atto di battesimo. Potrebbero essersi sposati in altri luoghi e qui essersi trasferiti o potrebbero esser morti in giovane età.
Di Battista non conosciamo con esattezza l'anno della morte, ma sappiamo dall'atto di matrimonio della nipote Battist(in)a, dove è detto “q. Battista”, che avvenne prima del giugno 1667. Antonio, nato il 23 gennaio 1618 , ha un posto centrale nella nostra ricostruzione genealogica.
Con lui si consolida l'attuale cognome della famiglia superando il vecchio appellativo che non rispecchia più la realtà. Nell'atto matrimoniale infatti viene indicato come “Antonio del porchettaro”. Non più porchettaro quindi, ma “figlio del porchettaro”. Evidentemente non svolge più l'attività paterna: non a caso negli altri atti parrocchiali che lo riguardano il soprannome non torna più. Si trova invece la formula “Antonio figlio di Battista di Giulio” o “Antonio di Battista”, finchè nella Nota delli cresimati di Falconara da Mons. Ill.mo e R.mo Aloisio Galli in Castel Ferretti l'anno 1651, adì 6 maggio non appare per la prima volta in un atto il nuovo nome di famiglia: “Ant(onio) Ricciotto”.
Il 23 agosto 1643 sposa a Falconara Lucia Paiana e dal matrimonio nascono nove figli: Battist[in]a, Giovanni Paolo, Elisabetta, Francesco, Giulio, i gemelli Giovanni Battista e Domenico, Vittoria e Giovanni Battista.
Muore il 9 settembre 1673 e dall'atto di morte possiamo ricavare che era un componente importante delle Compagnie del SS. Sacramento e Rosario, fatto confermato poi dal successivo atto di morte della moglie Lucia, meno sintetico ed essenziale, dove si legge “fu sepolta nella Pieve alla presenza delli Governatori delle Compagnie”.
Con Antonio la famiglia Ricciotti consolida il proprio peso all'interno della piccola comunità falconarese. Grazie ad un'abile politica matrimoniale intreccia rapporti con le famiglie allora più in vista 1: Giovanni Paolo ed Elisabetta sposano lo stesso giorno, il 31 agosto1673, rispettivamente Maddalena e Francesco di Domenico Gratti; Francesco sposa il 14 febbraio 1675 Vittoria di Pasquino Gratti; Giulio sposa l'11 febbraio 1677 Francesca dell'alfiere Giovanni Battista Marini e Domenico sposa il 24 maggio 1681 Maria dello stesso Giovanni Battista Marini.
Sempre con Antonio si viene a creare uno stretto legame anche con la famiglia dei Marchesi Bourbon del Monte, che erano arrivati a Falconara alla metà del Cinquecento e possedevano, oltre alle terre, molti appartamenti nel castello e case nel borgo. Lo prova fra l'altro anche il fatto che fra la fine del Seicento e il terzo decennio del Settecento in un paio di occasioni due esponenti della nobile famiglia figurino negli atti parrocchiali come testimoni di nozze: il sig. Marchese Camillo Bourbon del Monte al matrimonio di Margarita di Giovanni Paolo Ricciotti con Fiorano di Domenico Girondini, avvenuto il 16 gennaio 1695, e il sig. Marchese Carlo Bourbon del Monte a quello di Francesca di Antonio Ricciotti con Francesco Maria di Giovanni Paolo di Cinno Matrimoni, avvenuto il 7 febbraio 1732.
Il rapporto di lavoro alle loro dipendenze nel corso del Settecento, poi, si stabilizza e si rafforza a tal punto che nei libri in cui veniva annotato il pagamento delle decime gli esponenti della nostra famiglia vengono sbrigativamente e significativamente registrati con la formula “ Ricciotto … del Marchese”.
In questo stesso arco di tempo i Ricciotti, continuando una tradizione iniziata già con Giulio agli inizi del Seicento, si segnalano anche per la loro attiva partecipazione alla gestione del Comune . Nonostante gli Atti del Consiglio della Comunità di Falconara siano andati dispersi, ad eccezione di quelli del ventennio 1747-1768 2 possiamo infatti presumere sulla base di testimonianze sparse, e per il ventennio documentato ne abbiamo la certezza, che dalla fine del Seicento alla fine del Settecento un esponente della famiglia Ricciotti sia stato presente nel Consiglio, esercitando più volte la funzione di Priore e svolgendo anche altri incarichi pubblici (Deputato alle strade, Capitano di fiera). Il primo documento in cui, almeno allo stato delle attuali conoscenze, ricorre un esponente della famiglia è una delibera risalente al 1701, in cui si decide di una supplica al Consiglio presentata da un certo Bartolo Scaradozia. Priore in quell'occasione era Giovanni Battista Ricciotti, che ricompare anche in un altro atto del 28 ottobre 1707 con cui viene istituito un censo di 25 scudi a favore di un tal Lodovico Compagnoni di Falconara 3 .
L'ultima testimonianza per il Settecento ci porta al 21 luglio 1794 quando il civico consesso falconarese decide la costruzione di una nuova sede per gli uffici comunali: “A parere dei priori Antonio Pauri, Domenico Belardinelli e Giovan Battista Ricciotti, urge infatti la costruzione di una nuova residenza comunale per poter disporre di un'adeguata abitazione per il podestà” 4.
Come ultima testimonianza del nuovo ruolo sociale rivestito dalla famiglia Ricciotti dalla fine del Seicento si può infine ricordare che Domenico, Giovanni Paolo e Giulio risultano fra i 73 possidenti registrati dal Catasto del 1686 5, per la proprietà di una abitazione nel castello di Falconara.
Da Antonio si dipartono diverse linee genealogiche.
Oltre alla nostra, rappresentata da Domenico, vanno ricordate quelle di Giovanni Paolo e Giovanni Battista, che ebbero numerosi figli. Francesco e Giulio invece non hanno lasciato eredi a Falconara.
Del primo infatti abbiamo testimonianze solo fino al 1690, quando viene registrato il battesimo della figlia Catarina Antonia, poi niente altro - il che fa pensare che con la moglie possa aver lasciato Falconara per stabilirsi in altra località – del secondo i figli maschi morirono in giovane età e quindi risultò senza discendenti in grado di trasmettere il cognome.
In compenso però va ricordata la primogenita Battista, che, dopo la morte improvvisa e accidentale del marito Tomasso, figlio di Domenico Venerando detto Badalone, avvenuta nel 1677 a soli 35 anni d'età in seguito ad una ferita alla testa, prenderà le redini della casa e finirà per trasmettere il proprio cognome
ai suoi discendenti, creando così, accanto a quelle dei fratelli, un'altra sequenza genealogica, che è giunta fino ai giorni nostri 6.
Lei stessa del resto nell'atto di morte viene ricordata con il proprio cognome da nubile e non con quello del marito: “ Battista del qm Antonio Ricciotti da Falconara di anni 80 incirca” . Il figlio Andrea e il nipote Tommaso, dopo il 1719, lasciarono Falconara e si trasferirono nelle vicinanze di Ancona, in contrada Montagnolo. Qui la famiglia visse nei secoli successivi, allargandosi e ramificandosi in vari nuclei famigliari. Si insediò per periodi più o meno brevi anche a Torrette, Pietra la Croce, Candia, Montacuto e Passo Varano, ed è giunta con i suoi discendenti fino ai giorni nostri.
Domenico, nasce il 18 ottobre 1655 prima del fratello gemello Giovanni Battista, morto pochi giorni dopo, l'11 novembre 1655.
Domenico e il fratello Giulio vivono nella stessa casa e coltivano lo stesso terreno dei Marchesi Bourbon del Monte, posto nella contrada del “Piano”, su cui si era stabilito il padre Antonio, come prova lo Stato delle anime del 1721 in cui appunto troviamo nello stesso nucleo familiare oltre al fratello Giulio, la moglie Maria e i suoi tre figli In questa casa vivranno poi tutti i Ricciotti del nostro ramo, fino alla fine del Settecento, quando lasciarono Falconara. Come tanti altri mezzadri delle Marche 7, si legano quindi allo stesso podere e alla stessa dimora, per un tempo lunghissimo, addirittura per secoli.
Diversa è la sorte degli altri fratelli: Giovanni Paolo e Giovanni Battista si spostano in un altro terreno sempre nella contrada “il Piano”, mentre Francesco si allontana dal territorio di Falconara.
Di Giulio, che nel corso del tempo aveva guidato la famiglia patriarcale, ci è giunto il testamento a cui affida le sue ultime volontà . Dopo aver raccomandato l'anima sua, dispone che vengano spesi quattro scudi per il funerale e perché gli sia data un'onorevole sepoltura, obbliga i suoi eredi a far celebrare quaranta messe a suffragio dell'anima sua e infine lascia quaranta scudi alla moglie Francesca – che restano comunque a disposizione della famiglia - purché i suoi nipoti ed eredi la tengano in casa con loro e la trattino bene. Le sue parole vennero in effetti ascoltate. Francesca infatti non solo restò con i nipoti, ma come viene registrato nell'atto di morte svolse fino alla fine dei suoi giorni il ruolo di “capo di casa”. E c'è da credere che non fosse solo un fatto formale, perché viene annotato anche il pagamento di una coppa di grano – equivalente alla decima di un intero anno - che era dovuta dai familiari al parroco, quando appunto si trascriveva la morte del capofamiglia.
Dal Catasto di Falconara del 1686 8 Domenico risulta proprietario di una “casa nel borgo, conf[inante] da due lati li Marini” ossia confinante su due lati con abitazioni della famiglia Marini. La proprietà è confermata anche dal Catasto del 1713 9 che così la registra: ”Havere una casa con orto, in parocc[chi]a della Pieve, conf[inante] colli Marini, e Giacomo Fanese, stimata al Cat[ast]o antecedente a scudi 27,78”.
Dal matrimonio con Maria di Giovanni Battista Marini , avvenuto a Falconara il 24 maggio 1681, nascono quattro figli: Antonio, che probabilmente muore in giovane età, prima della nascita dell'ultimo fratello, Giovanni Battista, Pietro Domenico e Antonio.
All'interno della famiglia si ha così una nuova suddivisione con la creazione di altri tre diversi rami: il nostro, rappresentato da Giovanni Battista, e due collaterali, quello di Pietro Domenico e di Antonio, che restano anch'essi legati al territorio di Falconara.
Domenico muore il 13 gennaio 1716.
Giovanni Battista, nasce il 18 maggio 1686 e, come possiamo desumere dagli Stati delle anime settecenteschi, vive e lavora sullo stesso podere dove erano già vissuti i suoi predecessori.
Il 26 maggio 1707 sposa a Falconara Maria Olimpia di Cesare Tritelli, nata a Montemarciano e dal matrimonio nascono quattro figli: Cesare, Giuseppe, un “figliolino” nato morto e Domenico Lorenzo, morto a poco più di tre anni nel 1721.
Fra gli anni ‘20 e ‘40 del ‘700 la famiglia di Giovanni Battista, come del resto quella del cugino Antonio figlio di Giovanni Paolo, si arricchisce della presenza di uno o due “servi” o “garzoni”.
Il fenomeno è strettamente legato al tipo di popolamento e sfruttamento della
campagna che, secondo il sistema della mezzadria,
prevede un rapporto preciso fra il numero dei componenti la famiglia e l'estensione del terreno coltivato, in modo che il suo sfruttamento fosse ottimale. Quando la famiglia era troppo poco numerosa per adempiere al proprio compito, secondo i contratti dell'epoca, il mezzadro deve provvedere a trovare a proprie spese, cioè mantenendole, persone adatte al lavoro. Nella seconda metà del secolo il fenomeno scompare, probabilmente perché le famiglie tornano ad essere numerose, ristabilendo così il rapporto ottimale tra forza-lavoro e podere da coltivare 10.
La localizzazione del terreno e il fatto che la casa colonica fosse dotata di una stalla in cui venivano allevati i buoi, utilizzati per i lavori dei campi e per altre attività, ci vengono confermati dalla testimonianza resa il 21 maggio 1754, assieme al fratello Pietro e al nipote Domenico, nel “processo contro il molinaro inadempiente Sebastiano Polverino”11. Dagli atti ricaviamo che viene coinvolto, insieme a tanti altri coloni del territorio di Ancona, nelle opere di manutenzione straordinaria del vallato del molino di Fiumesino e deve prestare alcune giornate di lavoro. Non si tratta della prima volta perché già in passato era stato “chiamato dal molinaro per lavorare co' bovi sotto il molino … per spurgare il vallato assieme con molti altri lavoratori che gettavano fuori sporchezza, cioè breccia e terra”12.
Dagli stessi inoltre emerge per sua esplicita dichiarazione che la “possessione” dei marchesi Bourbon del Monte su cui vive e lavora la famiglia Ricciotti è posta in località Piano ed è confinante con il Molino di Ancona.
Giovanni Battista quindi in occasione di lavori che coinvolgono la popolazione di Falconara è chiamato a prestare la sua opera utilizzando i buoi, che all'epoca solo pochi mezzadri possiedono. Proprio per questo nel 1742 è chiamato a fornirli assieme a due carri per “il trasporto de bagagli delle truppe spagnole nella città di Macerata”. Come appare da una nota conservata nell'archivio Diocesano di Ancona però non si presenta e manca all'appello, per altro in compagnia di altri tredici coloni . Il fatto non deve meravigliare perché fornire mezzi al servizio dei tanti eserciti che in quegli anni passano per il territorio anconetano è estremamente rischioso; non c'è infatti alcuna garanzia che tornino poi indietro. Per questo chi poteva cercava di eludere l'impegno. La cosa curiosa piuttosto è che nella stessa occasione deputato alle truppe spagnole e quindi incaricato dalla Comunità di Falconara di provvedere ai loro bisogni era il figlio Francesco Giuseppe.
L'estensione del fondo e la necessità di avere un numero elevato di lavoranti fanno sì che nella sua lunga vita, muore il 3 aprile del 1767, si ritrovi a reggere una famiglia patriarcale molto ampia. Composta dalla sua e da quelle del fratello Pietro Domenico e dei figli Cesare e Giuseppe, oscilla in media nel corso degli anni dai 14 ai 16 componenti, arrivando nel 1762 addirittura a 19 .
Dei due figli Giuseppe resta radicato al terreno di famiglia, mentre Cesare, che dopo, la morte della prima moglie, si sposerà una seconda volta e avrà una numerosa figliolanza, troverà un altro podere da coltivare, sempre nel territorio di Falconara. Francesco Giuseppe, nasce il 15 maggio 1713 e come il fratello primogenito Cesare ha due mogli e numerosi figli. Il 19 novembre 1739 sposa a Falconara in prime nozze Maria Domenica Belardinelli .
Un mese prima, il
25 ottobre 1739 viene stilata la promessa di matrimonio, che coinvolge Giuseppe e il padre della sposa, assente all'atto e rappresentata appunto dal padre, con cui Francesco Giuseppe “promette e si obbliga a prendere per sua legittima sposa Maria Domenica […] e a lei dare l'anello matrimoniale conforme il rito di Santa Chiesa e Sacro Concilio di Trento” e il padre della sposa Benedetto Belardinelli, oltre a pronunciare un'analoga promessa in nome della sposa, “promette e si obbliga di dare in dote alla propria figlia “tutti li panni sia di lana, che di lino, seta, argento, oro, coralli et altri arnesi...” .
Dal matrimonio nascono cinque figli: Angelo, Pier Girolamo, Antonio Maria, Anna Maria, Maria Lucia.
Maria Domenica, la prima moglie, muore il 12 marzo 1770, “ aetatis suae anno 57°”. Qualche mese dopo la sua morte Giuseppe si risposa con Caterina di Giuseppe Berti, di venti anni più giovane.
Da questo secondo matrimonio nascono altri tre figli: Giovanni Battista Benedetto, morto solo dopo cinque giorni, Maria Giovanna Battistina e Giovanni Pacifico.
Come il padre si ritrova a capo di una famiglia patriarcale numerosa, che, col passare del tempo, comprende anche le famiglie dei figli Angelo e Antonio Maria e del nipote Giacomo. Così nel 1780, per fare un esempio, risulta composta da 16 persone a cui si aggiunge anche un servo.
Anche Giuseppe, il cui nome di battesimo è Francesco Giuseppe e così viene ancora nominato nell'atto di matrimonio (1739), svolge incarichi pubblici.
E' riferibile a lui l'annotazione presente nella copia della “Nota de pagamenti fatti per li passaggi e permanenze delle truppe straniere dalla Com[uni]tà di Falconara principiando dall'anno 1741 sino all'anno 1744” 13.
Qui, alla data del 28 febbraio 1741, si trova: “Fu spedito un mandato a Franc[esc]o Ricciotti Dep[uta]to alle truppe spagnole … scudi 1,50”. Seguono poi altri tre mandati per complessivi scudi 2,78, rispettivamente il 3 e il 6 aprile e l'8 maggio 1742.
Giuseppe, poi, a seguito della delibera consiliare del 1767, che ripartiva fra tutti i castellani e i contadini del territorio la spesa per il mantenimento del medico condotto, nel 1773 viene tassato fra i “lavoratori con i bovi” per baiocchi 7514. Continua quindi la tradizione di famiglia che vuole sia presente nel fondo una stalla fornita di buoi. Il dato è confermato dall'inventario della Parrocchia di S. Maria delle Grazie redatto nell'anno 1770 dal pievano Gian Domenico Frampoli dove risulta nell'elenco di lavoratori che dispongono di buoi e che per questo pagano come decima una coppa di grano. Dallo stesso si apprende che nel terreno coltivato erano presenti anche delle viti per le quali paga, sempre a titolo di decima, un barile di mosto.
Vive nella stessa casa del padre e qui, il 27 giugno 1787, come recita l'atto di morte, “ aetatis suae anno 75° in domo rurali et predio Marchionis del Monte animam Deo reddidit” .
Angelo Bartolomeo, figlio primogenito di Giuseppe, nasce il 25 agosto 1740 e il 27 gennaio 1774 sposa a Falconara Lucia di Francesco Durazzo .
Lo stesso giorno il pievano Giandomenico Frampoli stende il contratto dotale, ossia la “Nota della Biancaria di panni, di lino, seta, ori, argenti, ed altre robbe, che si danno in dote, e a nome di dote a Lucia figlia di Francesco Maria Durazzo futura sposa di Angelo figlio di Giuseppe Ricciotto, da Francesco Durazzo Padre della suddetta…”.
Alla fine dell'elenco dei beni, valutati complessivamente 137,75 scudi, Angelo Bartolomeo Ricciotto, alla presenza del pievano, del padre Giuseppe e di due testimoni “confessa d'aver ricevuto la dote” e appone la sua croce in calce, avendo detto “di non saper scrivere” .
Dal matrimonio nacquero otto figli: Maria Domenica, Domenico Vincenzo, Francesco Maria Venanzio, morto a pochi mesi, Maria Giovanna Geltrude, Francesco Maria, morto a pochi giorni, Maria Annunziata, Maria Olimpia e Caterina.
La sua famiglia si allarga ulteriormente nel 1787, quando alla morte del padre, anche i due fratellastri Maria Giovanna Battistina e Giovanni Pacifico, che per altro erano coetanei dei suoi figli, ne entrano a far parte .
Quattro anni più tardi, Angelo con la moglie, i figli e i due fratellastri, lascia Falconara e si trasferisce a Montalboddo (oggi Ostra). Nella primavera del 1791 è ancora a Falconara, visto che risulta registrato nella lista delle decime e nello Stato delle anime,
compilato di solito
in occasione della benedizione delle case in prossimità della Pasqua. Si trasferisce quindi alla fine del 1791, sia che avesse deciso di abbandonare il fondo sia che avesse subito la disdetta da parte del proprietario, dato che il terreno, secondo i patti agrari dell'epoca, veniva lasciato di solito dopo la vendemmia e la raccolta degli ultimi frutti; in autunno quindi.
Dal 1792 comunque Angelo è certamente a Montalboddo, come testimonia la sua presenza nella lista dei coloni sottoposti alla “Colletta camerale sopra l'estimo de terreni, fuochi, bocche, censi, noli, bestiami” per l'anno 1792, valida dal 1° gennaio. Qui risiede assieme al fratello Giovanni in contrada S. Ubaldo, n. 956 15, nella possessione del sig. PierMaria Menchetti, prima, e di Andrea, poi, esponenti di una delle più importanti famiglie di Ostra e ricchi possidenti
terrieri. Esercita l'attività di mezzadro, come risulta oltre che dagli elenchi delle Collette che si su susseguono dal 1792, anche dal primo Stato delle anime della Parrocchia di S. Croce, risalente al 1812 . Nel terreno alleva inizialmente anche otto pecore e due vacche, che diventeranno quattro a fine secolo, e possiede un carro, a cui se ne aggiungerà un altro nel 1807.
La presenza di animali da tiro permette ad Angelo di integrare l'attività di colono con quella di trasportatore di materiali per il Comune, e non è detto che non lo possa aver fatto anche per altri. Una nota del 1802 relativa ai barocciai che hanno trasportato la breccia dalla Porta di sopra di Montalboddo alla strada della Rocca lo ricorda due volte, il 18 e il 19 ottobre. In ognuno dei due giorni effettua tre viaggi, trasportando ogni volta dodici coppe di breccia e ricavando complessivamente un compenso di 72 baiocchi (uno a coppa).
Angelo muore a Montalboddo il 22 maggio 1830. I motivi del trasferimento, dopo due secoli vissuti a Falconara, sullo stesso campo e alle dipendenze dei marchesi Bourbon del Monte, non sono noti e difficilmente potranno esser ricostruiti. Si può solo ipotizzare che siano legati al fatto che la famiglia di Angelo si era ridotta nel numero dei componenti ed era composta soprattutto da giovani e bambini. Non più in grado di coltivare un terreno di ampie proporzioni (nel corso del Settecento vi erano vissute fino a 19 persone). Di fronte al rischio di ritrovarsi nella non piacevole condizione di casanolante, cioè di un disoccupato cronico che vive in una casa a nolo, ai margini dei campi, sul lavoro saltuario delle proprie braccia, sul piccolo allevamento e sul furto campestre, dovette accettare di buon grado la possibilità di spostarsi nel contado di un'altra città.
L'allontanamento dalla primitiva sede non fu comunque un fatto limitato al solo Angelo. Già nel corso del Settecento alcuni rami della famiglia si erano allontanati da Falconara e altri lo faranno nell'Ottocento e nel Novecento, arrivando anche, agli inizi del secolo scorso, fino in Canada e in Argentina.
Domenico Vincenzo Ricciotti nasce a Falconara il 20 luglio 1776.
Si sposa con Maria Pettinari l'11 ottobre 1809 e dal matrimonio nascono cinque figli: Lucia Rosa, Antonio Pietro, Annunziata, morta pochi giorni dopo la nascita, Santa Annunziata e Gaodenzo, morto anche lui dopo pochi giorni.
Nel nome dell'ultimo figlio appare evidente un tributo al nuovo comune di residenza, visto che ne riprende il nome del Santo Patrono, S. Gaudenzio appunto, che si festeggia il 14 ottobre.
Insieme al fratellastro Giovanni Pacifico, che nella nuova sede, dà vita ad un' altra linea genealogica diversa, che si estingue però alla metà dell'Ottocento, coltiva lo stesso podere su cui si era trasferito il padre da Falconara.
Nel 1849 con la Repubblica Romana viene inserito, assieme al figlio Pietro, nelle liste elettorali per le elezioni dei rappresentanti in seno all'Assemblea Costituente. Le elezioni avvengono il 22 aprile 1849. Come tanti altri non si presenta al voto, che per altro il pontefice Pio IX aveva vietato ai fedeli minacciando la scomunica contro quanti non avessero obbedito.
Di lì a pochi giorni, con l'arrivo delle truppe austriache venute a liberare i territori pontifici in nome di Pio IX, si ha un brusco cambiamento politico. Uno dei primi provvedimenti, presi dal Tenente Maresciallo
Conte di Wimpffen, Comandante le truppe imperiali, è l'ordine per tutta la popolazione di rimettere alle Magistrature comunali e quindi alle autorità militari, le armi e le munizioni possedute.
In obbedienza alla Notificazione Vincenzo provvede a denunciare e a consegnare le armi che detiene in casa: uno schioppo a pietra, uno a fulminante ed un pistone.
Non deve meravigliare il numero delle armi e perché in famiglia c'erano quattro adulti, ma soprattutto perché, come rileva il Parroco-Curato della Parrocchia di Santa Croce in una lettera del 26 luglio 1849 al Sig. Gonfaloniere di Montalboddo, per gli abitanti della campagna “una [sola] bocca da fuoco”, come prevede la nuova legge, non è “certamente bastante alla difesa delle loro famiglie a fronte dei continui furti, che si commettono a loro danno “. Per questo pendeva “presso la Superiorità provinciale una istanza colla quale s'implora una modificazione al Decreto, che ha ordinato la consegna delle armi”. La richiesta per altro non viene accolta e delle armi denunciate nell'assegna due verranno trattenute.
Muore a Montalboddo il 24 novembre 1856.
Pietro Ricciotti nasce a Montalboddo (Ostra) l'11 giugno 1814 e l'11 ottobre 1845 sposa Rosa Pierucci.
Dal matrimonio nascono sei figli: Annunziata, Carola, Giovanna, Filippo, Angelo, Vincenzo. Pietro continua, sempre nello stesso podere e località, l'attività di contadino-mezzadro alle dipendenze della famiglia Menchetti.
Nel 1860 viene inserito, come tutti quelli che hanno compiuto 21 anni, nelle Liste elettorali per il Plebiscito che deve sancire l'annessione delle Marche alla monarchia sabauda. L'afflusso al voto, fissato per il 4 e il 5 novembre è modesto; si presentano infatti solo 345 votanti su 1605 aventi diritto. Ancora una volta la minaccia della scomunica, l'azione del clero che spinge al non voto e lo scarso interesse dei contadini per quanto accade loro intorno, ottengono, come già qualche anno prima, il loro effetto. Fra quanti disertano le urne troviamo anche Pietro, che per altro non aveva partecipato nel 1851 neanche alle elezioni dei rappresentanti in seno all'Assemblea Costituente Romana.
Muore il 10 dicembre 1878.
Vincenzo nasce a Montalboddo (Ostra) il 23 marzo 1859.
Trascorre la giovinezza in Contrada S. Ubaldo, dove viveva con i genitori e i fratelli Angelo e Pietro, che esercitavano la professione di mezzadri e continueranno, assieme ai figli e nipoti, a farlo fino agli anni '60 del Novecento quando, in concomitanza della grande emigrazione interna, lasceranno Ostra per trasferirsi a Milano e Roma.
L'8 novembre 1879, il Consiglio di leva lo ascrive alla 1^ categoria, lo dichiara abile ed arruolato e l'assegna al 5° reggimento bersaglieri con il numero di matricola 8818.
Il 6 marzo 1886 si sposa con Teresa Bruschini , e lo stesso giorno del matrimonio religioso, celebrato nella chiesa parrocchiale di S. Pietro apostolo di Vaccarile - il matrimonio civile avverrà qualche mese dopo, il 20 ottobre 1886 - si trasferisce, come è annotato nello Stato delle anime della Parrocchia di S. Gregorio Magno, in contrada Pianello, dove esisteva un piccolo agglomerato di case, lungo il vecchio tracciato della Strada Arceviese, che in quel punto, dopo esser corsa parallela al fiume Misa, lo oltrepassava per poi riprendere a fiancheggiarlo, ma sull'altra sponda.
Qui in una abitazione di sua proprietà, posta in prossimità del vecchio ponte, al n. 1058, apre un'osteria, dando una svolta alla propria vita e iniziando un'attività che lo distacca per sempre da quella di mezzadro, legata alla coltivazione della terra ed esercitata dai suoi antenati fin dal Cinquecento.
Come oste viene indicato nell'atto di matrimonio e negli atti di nascita dei figli, tranne in quello di Ottavia (1903) , dove è definito “gabellotto” e non è l'unico caso, perché come tale viene indicato anche nelle liste di estrazione per la leva militare del gennaio 1908 relative al figlio Emiliano.
Dal matrimonio con Teresa Bruschini nata a Ripe il 22 aprile 1863 e morta a Ostra il 18 gennaio 1935, nascono dodici figli: Adele, Anselmo, Emiliano, Amedeo, Fausto, Amedeo, Giulia, Olga, Elvira, Ida, Germana, Ottavia. Adele, i due Amedeo e Giulia muoiono in tenera età.
Delle figlie, Olga l'8 dicembre 1914 sposa Gualtiero Tommasoni e si trasferisce dopo il matrimonio prima a Barbara e poi, dopo esser ritornata per un breve periodo a Pianello, definitivamente a Senigallia; Elvira il 31 dicembre 1920 sposa Vittorio Pasqualini e, rimasta vedova dal 1944, si trasferisce nel 1972 a Senigallia; Ida il 1° settembre 1924 sposa Palmiero Filipponi; Germana sposa il 20 dicembre 1924 Gino Fornaroli e si trasferisce a Senigallia subito dopo il matrimonio; Ottavia il 9 gennaio 1926 sposa Roberto Valenti e anche lei, subito dopo il matrimonio, si trasferisce a Senigallia.
I tre figli maschi , Anselmo, che il 27 febbraio 1910 sposa Adelina Aguzzi; Fausto, che il 6 aprile 1920 sposa Dina Pianelli ed Emiliano resteranno invece nella frazione, dove edificheranno le loro abitazioni e si dedicheranno ad attività in campo commerciale ed imprenditoriale, diverse da quelle del loro padre.
Col passare degli anni Vincenzo consolida la propria attività, come risulta dal “Registro delle denunce delle Ditte commerciali presentate a questo Municipio [Ostra ] nel 1911”, dove appare come titolare di una “Rivendita di Sali e tabacchi, vino e generi diversi” (n. 35 dell'elenco) 16.
Oltre che guidare la sua numerosa famiglia, acquista un certo rilievo all'interno della piccola comunità, che nel frattempo è andata crescendo - secondo i dati del censimento del 1911 comprende ormai 209 abitanti - dando vita ad un piccolo agglomerato urbano, distinto dalla campagna circostante.
Si rafforza allora l'idea, già manifestatasi a cavallo fra i due secoli, di dotare il piccolo abitato di una chiesa che eviti agli abitanti del borgo di dover compiere due chilometri per partecipare alle funzioni sacre.
Quando agli inizi degli anni Venti si comincia a dar corpo al progetto, Vincenzo risulta uno dei protagonisti della vicenda.
Come scrive Don Virgilio Mosci nel “Libro delle memorie”: “Finalmente, nel marzo 1925, una Commissione di parecchi parrocchiani, fra cui principalmente Ricciotti Vincenzo, Aguzzi Giuseppe, Abbrugiati Giuseppe, Pianelli Giuseppe e Pasqualini Vittorio chiamarono me Don Virgilio Mosci Rettore-Parroco, ed esposero la loro volontà di procedere alla costruzione della Chiesa a Pianello, di cui da parecchi anni si parlava”.
E dovette restare tra i principali responsabili delle varie fasi esecutive, che comportarono la raccolta di fondi presso i parrocchiani e l'emissione di cambiali per coprire le spese necessarie alla costruzione della Chiesa, fino alla fine dei lavori e oltre, come appare evidente da un'ultima considerazione, sempre di Don Virgilio Mosci:” Il 2 febbraio 1935, alle ore 17, alla presenza di Abbrugiati Giuseppe, ho consegnato al signor Ricciotti Fausto, mandato dal padre Vincenzo, Lire 1.500 (millecinquecento), come convenuto, per togliere la mia firma dalle cambiali fatte per la Chiesa del Pianello e per non avere più alcuna responsabilità di qualsiasi natura sul debito fatto per la Chiesa”.
A conclusione di una lunga e attiva vita muore a Pianello il 6 luglio 1950 .
Emiliano, figlio terzogenito, nasce a Pianello di Ostra l'8 dicembre 1889. La sua è in qualche modo, almeno per la prima parte, una vita ricca di avvenimenti.
Ancora giovanissimo gli si prospetta la strada dell'emigrazione. Già nel 1906 risulta una sua prima richiesta di passaporto, inoltrata al Questore di Ancona in data 25 febbraio e accompagnata da due documenti ( Atto d'assenso del padre, Dichiarazione della persona che l'accompagna),a cui ne seguirà un'altra il 13 maggio 1907 (lo stesso giorno vien trasmessa analoga domanda del fratello Anselmo, che però non partirà mai) non più genericamente per l'estero, ma per gli Stati Uniti d'America con destinazione Danbury (Connecticut).
Risale presumibilmente a questo viaggio, che poteva anche esser senza ritorno, nel caso si fosse fermato negli Stati Uniti, una foto che ci mostra un giovanissimo Emiliano, in abiti da festa.
Si imbarca a Napoli sulla nave König Albert, partita da Genova il 6 giugno 1907, e arriva a New York il 20 dello stesso mese.
Nella “List or mainifest of alien passengers for the U. S. immigration officer at portal of arrival”, conservata ad Ellis Island, dove approdavano tutti gli emigranti, risulta registrato alla pagina 117, linea 12 .
Vi si trovano dati significativi, quali ad esempio la professione (“farm laborer”), l'altezza, il colorito, lo stato di salute ecc. Raggiunge in seguito le miniere di carbone della Pennsylvania, dove lavora per qualche tempo.
Tornato in Italia dopo pochi mesi, non dovette trovare immediatamente la propria strada, tanto che meditò di ritornare per ben altre due volte negli Stati Uniti. La terza addirittura con la giovane moglie e il figlio Ugo di un anno.
Ne sono testimonianza le altre due “Liste dei passeggeri” , conservate sempre ad Ellis Island, relative all'aprile 1909 e al marzo 1912, dove tuttavia risulta cancellato da un tratto di penna assieme a tutte le informazioni registrate nella riga corrispondente al suo nome. Il che ci fa pensare che, fatta la richiesta di passaporto in Comune e compilati i registri d'imbarco, poi, in realtà non sia mai partito.
In questi primi anni i documenti che lo riguardano ci offrono diverse indicazioni circa il suo lavoro: nel 1907 lo abbiamo trovato come “bracciante agricolo”; nel 1908, nelle “Liste di estrazione di leva”, è registrato come mugnaio.
Già dall'anno successivo, però, a partire dalle “Liste del Consiglio di leva” del 23 marzo 1909, appare esercitare l'attività di falegname; così lo ritroviamo nella “Lista dei passeggeri” del 1912, dove risulta “carpenter” e così nell'atto di matrimonio di Arsenio Guarnieri, sempre del 1912, di cui è testimone di nozze – e diventerà poi consuocero, quando il figlio Carlo nel 1951 ne sposa la figlia Amelia – e così infine negli atti nascita degli altri figli, fino al 1925.
Anche lui è chiamato alle armi, ma alla visita del “Consiglio di leva” del marzo del 1909 viene dichiarato rivedibile e rinviato a nuova visita per l'anno successivo, che lo rinvia ancora ad una nuova visita. Il 31 marzo 1911 viene riformato per problemi alla vista. Il 10 marzo del 1916 come tanti altri, e fra questi il fratello Anselmo che viene invece arruolato, verrà sottoposto ad una nuova visita che conferma la riforma e gli evita gli orrori della prima guerra mondiale.
Dalle “Liste di leva” ricaviamo anche altri particolari relativi al fisico. Il giovane Emiliano risulta alto un metro e 63 cm, ha un torace di 87 cm, capelli castani lisci, occhi castani e colorito roseo - bruno.
Il 20 agosto 1910 sposa nella Chiesa parrocchiale di San Gregorio Magno (in Comune il matrimonio avviene il 4 settembre 1910) Maria Conti , nata a Ostra il 2 luglio 1892, che morirà a soli cinquant'anni nel 1942.
Alla professione di falegname ne viene affiancando altre. Nel settore agricolo, ad esempio, visto che nel 1914 prende la patente per la guida del locomobile , macchina a vapore che veniva utilizzata durante la trebbiatura per trasmettere il movimento alla trebbiatrice, inserendosi in un settore, quello della meccanizzazione dell'agricoltura, allora agli albori, in cui svolgerà poi la sua attività di imprenditore il fratello Fausto ed i nipoti, figli del fratello Anselmo.
Negli stessi anni, probabilmente grazie anche all'aiuto e ai consigli del suocero Giovanni Conti, intraprese quello che sarà poi il suo mestiere definitivo: il commerciante ambulante nel settore agricolo (semi da prato ecc).
Il bancone da falegname e tutti gli attrezzi ad esso legati lo accompagneranno però per tutta la vita e anche in tarda età, per hobby, si dedicherà ancora a qualche lavoretto di falegnameria.
Nella nuova attività di commerciante coinvolgerà ben presto anche i figli. Prima Ugo, già dal 1925, come risulta dal documento con cui il sindaco di Ostra lo autorizza, “ad esercitare il mestiere di commerciante ambulante di stracci, pelli, semi da prato ecc” assieme al figlio quattordicenne; poi, Giuseppe, che il 18 luglio 1935, a 18 anni, viene emancipato dal padre; infine Carlo, che prenderà il posto dei fratelli quando questi saranno lontani da casa negli anni della Seconda guerra mondiale.
Nel dicembre 1916 acquista un piccolo appezzamento di terra lungo l'arceviese e qui edifica la sua casa, dove vivrà fino alla fine dei suoi giorni.
Negli anni seguenti, fra il Trenta e il Quaranta, le sue condizioni economiche migliorano, tanto che può acquistare alcuni terreni, divenendo così, come risulta in alcuni documenti “possidente”.
Dal matrimonio nascono otto figli: Ugo, Adelia, Natalina, Giuseppe, Rita, Velia, Agnese, Carlo. Tranne Velia, che, dopo aver sposato il 3 febbraio 1945 Gino Pellegrini, si trasferisce a Marzocca di Senigallia, tutti gli altri figli resteranno nel comune di Ostra, per lo più a Pianello.
Adelia sposa il 6 ottobre 1934 Quirino Contardi ; Natalina sposa il 14 novembre 1938 Raffaele Leoni ; Rita sposa Riccardo Berta il 3 ottobre 1940; Agnese sposa Gino Raffaeli il 2 ottobre 1947.
I tre figli maschi, Ugo, che il 22 ottobre 1938 sposa a Ostra Olga Pianelli e dopo la sua morte, avvenuta il 5 luglio 1955, si risposa in seconde nozze con Alderinda Luzietti, il 30 aprile 1957 ad Arcevia; Giuseppe, che il 30 aprile 1949 sposa a Ostra Teresa Manoni e Carlo, restano tutti a Pianello e daranno vita ad una società commerciale operante soprattutto nel settore dei semi da prato.
Emiliano, ultimo della famiglia a trovarsi a capo di un vasta e numerosa famiglia patriarcale , trascorre tutta la sua vita a Pianello, alla fine con il figlio Carlo, a cui nel 1956 aveva ceduto l'abitazione da lui resa abitabile nel lontano 1921, e con la sua famiglia.
In quella casa, vive anche gli ultimi anni e gli ultimi giorni della sua esistenza, rattristati dalla malattia e dalla perdita, fra l'ottobre del 1968 e il gennaio dell'anno successivo, dei due figli, Giuseppe ed Ivo (Ugo).
Muore di lì a poco, il 29 gennaio 1969.
Carlo, il più piccolo dei figli di Emiliano, nasce a Pianello di Ostra il 15 novembre 1925. Il 7 ottobre 1951 sposa Amelia Guarnieri , nata a Ostra il 14 giugno 1929 e morta a Ostra il 19 settembre 2007.
Dal matrimonio nascono due figli: Giovanni e Tarcisio, che, sposatosi, ha avuto due figli: Edoardo e Marco.
Come già era successo in passato per i fratelli, viene presto coinvolto nell'attività di famiglia, anche perché dalla fine degli anni Trenta questi risultano lontani da casa, richiamati alle armi per il secondo conflitto mondiale. Finita la guerra e tornato anche Giuseppe dalla prigionia (aprile 1946), i tre fratelli potranno tornare a lavorare insieme.
Nell'elenco degli esercenti il mestiere di ambulante del 24 agosto 1950, Carlo con Ugo risulta esercitare nelle province di Ancona-Macerata il commercio di “Semi, feccie, stracci, pelli, bozzoli,cereali, ferraccio” avendo come mezzo una motocicletta. Il fratello Ugo lo affianca estendendo la sua attività anche nelle province di Pesaro e Perugia e utilizzando un autocarro. E si tratta di un'eccezione dato che gli altri ambulanti della lista denunciano come mezzo utilizzato la bicicletta, il cavallo o addirittura affermano di farlo “a mano”.
L'attività nel corso degli anni si andrà poi ampliando e al commercio si aggiungerà, sotto la direzione di Carlo, anche un piccolo laboratorio per la selezione dei semi.
In parallelo continuerà a seguire anche i terreni di famiglia, suoi e del padre prima poi soltanto di sua proprietà. Fino agli anni Sessanta si avvarrà del contratto a mezzadria, poi, dopo il grande esodo dalle campagne, lo farà direttamente.
Negli ultimi anni sarà per lui in vero e proprio hobby, da seguire soprattutto in certi periodi dell'anno, quando l'attività commerciale, per il suo carattere stagionale, era meno pressante. Negli stessi anni si impegnerà anche nel settore delle Cooperative agricole, con le quali si cercò allora di valorizzare e di rilanciare i prodotti locali.
Carlo muore a Ostra il 2 ottobre 1988.
Giovanni, nato ad Ostra il 29 aprile 1953, dopo la maturità classica si è iscritto all'Università di Padova, dove ha conseguito nel 1977 la laurea in Lettere moderne con una tesi su Leopardi e il mito del “Buon selvaggio” . Ha poi frequentato la Scuola di perfezionamento in Filologia Moderna da cui è nato il saggio Un excursus leopardiano sull'astronomia americana: riflessioni filologiche e critiche , pubblicato nel 1979 negli Atti dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti.
Dopo aver assolto nel 1978 gli obblighi di leva a Portogruaro nel 92° Battagliane Fanteria “Basilicata”, inquadrato nella III Brigata Missili, è ritornato nelle Marche e si è dedicato all'insegnamento nelle scuole di istruzione secondaria di secondo grado.
Negli anni passati ha collaborato come docente con l'Università degli anziani di Senigallia.
Membro del “Comitato permanente pucciniano” di Senigallia ha dedicato alcuni brevi saggi, apparsi sulla rivista “Sestante” fra il 2002 e il 2007, allo scrittore senigalliese Mario Puccini e ha partecipato a incontri e tavole rotonde a lui dedicati. Ha seguito anche la riedizione di alcune sue opere, stampate dalla “Fondazione Rosellini per la letteratura popolare”, curandone in alcuni casi l'introduzione.
Attualmente a questi interessi si è aggiunta l'attività di ricerca storica in ambito locale e genealogico.
Il 2 dicembre 1986 ha sposato a Senigallia Elena Paggi e dal matrimonio è nata Maria Letizia.
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